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Non c’è teoria filosofica o corrente di pensiero che abbia messo in dubbio il bisogno di felicità dell’animo umano. Si tratta di una comune aspirazione, di un universale desiderio.
Il filosofo e scrittore latino Seneca (4 a.C.- 65 d.C.), precettore e poi consigliere e ministro di Nerone, nelle sue Lettere a Lucilio, ripete continuamente: “tutti gli uomini tendono alla gioia”, “tutti desiderano la felicità”.
Blaise Pascal (1623-1662), filosofo e matematico francese, nei suoi Pensieri scrive: “Tutti gli uomini cercano la felicità, senza eccezioni; e tutti tendono a questo fine, sebbene siano diversi i mezzi che impiegano…La volontà non fa mai il più piccolo passo se non in direzione di questo oggetto. Questo è il motivo di tutte le azioni di tutti gli uomini, finanche di quelli che si impiccano”.
Facendo eco al suo connazionale, il poeta e drammaturgo Paul Claudel (1868-1955), dichiara: “C’è nell’uomo uno spaventoso bisogno di felicità. E’ necessario che esso abbia il suo alimento, altrimenti divorerà tutto come un fuoco”. E, invero, l’esperienza avverte come tale bisogno, che determina scelte e alimena desideri, possa rivelarsi insaziabile. Vivere, del resto, è desiderare, ricercare, sperimentare.
Ma cos’è la felicità e dove trovarla?
Secondo l’accezione specificamente filosofica la felicità è una “condizione stabile di carattere prevalentemente psicologico, che pervade la coscienza e deriva dal soddisfacimento totale delle inclinazioni e dei desideri dell’uomo”.
Una definizione che pur sottolineando l’aspetto soggettivo mediante il riferimento alla coscienza e all’appagamento delle inclinazioni dell’uomo, implica anche l’aspetto oggettivo, cioè un valore, un bene o una somma di beni, il cui possesso determina lo stato di soddisfacimento.
Quanto al “dove” trovarla, variegata si presenta la gamma di risposte.
Rilevante è quella del filosofo Seneca, considerato il più illustre esponente dello stoicismo romano dell’età imperiale. Questi, rannodando la coscienza umana a Dio, fa della sua presenza trascendente, ma particolarmente attiva nell’uomo, la nota essenziale della etica individuale. Si ricordi che per Seneca la filosofia è “studium virtutis”, guida alla vita onesta. Di qui le appassionate espressioni rivolte a Lucilio: “Desidero che non ti manchi mai la gioia, anzi che ti nasca in casa, e nascerà purchè essa sia dentro te stesso…Vorrei che anche tu possedessi questa gioia: essa non ti verrà mai meno, una volta che ne avrai trovato la sorgente…Questa di cui parlo e a cui tento di condurti è una gioia duratura, che nasce e si espande dal di dentro. Ti scongiuro, carissimo Lucilio, fa’ la sola cosa che può darti la felicità”.
Anche Sant’Agostino raccomanda di “far ritorno al cuore…perché lì si trova l’immagine di Dio”, a condizione, come egli ammonisce, che “l’occhio del cuore” resti limpido per rifletterne l’immagine. “Che cosa turba l’occhio del cuore? La cupidigia, l’avarizia, l’iniquità, la concupiscenza: tutto ciò turba e acceca l’occhio del cuore”.
Quanti, invece, hanno indicato o riposto la felicità nella legittimazione e nell’appagamento degli istinti, hanno imboccato vie che conducono alla tristezza, al tormento e alla disperazione. Si pensi al “ferale taedium vitae”, la mortifera noia della vita, vissuta e confessata da Gabriele D’Annunzio (1863-1938) o agli insani suicidi di Henry de Montherlant (1896-1972) e di Ernest Hemingway (1899-1961).
E, infine, la felicità è fuori o dentro di noi?
Folgorante, a proposito, è il pensiero di Pascal: “Gli stoici dicono: “Rientrate in voi stessi: là troverete la vostra quiete”; e ciò non è vero.
Gli altri dicono: “Uscite fuori di voi: cercate la felicità distraendovi; e questo non è vero, perché vengono le malattie.
La felicità non sta nè dentro, né fuori di noi; sta in Dio, sia fuori sia dentro di noi”.