Nella relazione allegata le conclusioni del dott. Raffaello di Marino consulente dei comuni di Conversano e Mola di Bari
Conversano – Presentato il lavoro del consulente dei comuni di Conversano e Mola di Bari, dott. di Marino, che nelle sue conclusioni all’interno delle procedure dell’incidente probatorio, ha constatato che:”senza il supporto di una valida giustificazione tecnica, durante la realizzazione della barriera minerale è stata utilizzata la terra rossa adducendo il motivo che la fornitura di questa era più economica in quanto reperibile sul posto e che inoltre non vi erano grandi differenze di caratteristiche tecniche tra i due materiali.
I risultati invece sono stati ben altri con la realizzazione di una barriera minerale, con un materiale, la terrarossa, che aveva caratteristiche difformi e peggiorative rispetto al materiale previsto e con prestazioni ben lontane dalle indicazioni di legge, come peraltro hanno dimostrato i risultati delle misure di permeabilità“.
Il testo della relazione del dott. di Marino
Procedimento Penale N. 16719/12 R.G.N.R. e N. 18283/12 R.G. G.I.P. Discarica di Conversano- Contrada Martucci Incidente Probatorio Esame dei Risultati delle prove in Sito ed in Laboratorio
Con delibera N. 167 del 6 Agosto 2013 l’Amministrazione Comunale di Mola di Bari mi ha conferito l’incarico di Consulente tecnico per l’incidente probatorio richiesto dalla Società Progetto Gestione Bacino BA5, che interessava la vasca di soccorso A della discarica in contrada Martucci. Successivamente il mio incarico era esteso a rappresentare anche l’Amministrazione Comunale di Conversano.
In questa veste ho seguito tutte le fasi dell’incidente probatorio ed esprimo le mie considerazioni sui risultati delle prove dirette e indirette svolte sul campo durante lo svolgersi dell’incidente probatorio, e in laboratorio.
I risultati delle prove dirette e indirette sulla vasca di soccorso A, oggetto dell’incidente probatorio, sono un elemento fondamentale per una corretta ed approfondita valutazione dell’oggetto dell’indagine, indispensabili per dare una risposta chiara ai quesiti che il Giudice per le indagini preliminari ha posto al Perito.
Preliminarmente devo dare atto alla correttezza ed efficacia dell’incidente probatorio a partire dalla stesura del Piano delle indagini, allo svolgimento delle varie fasi, da quella geoelettrica per l’individuazione delle anomalie della geomembrana, alle prove indirette sulla barriera minerale impermeabilizzante del fondo e degli argini della vasca.
Devo esprimere altresì il mio apprezzamento per come è stato condotto, privilegiando da parte del Perito la forma aperta di un confronto dialettico, che ha portato, ad aggiungere altri momenti di verifica a quelli indicati nel Piano delle Indagini, come è stato il campionamento aggiuntivo richiesto da alcuni periti di parte, per prelevare campioni indisturbati sui quali procedere a misure di permeabilità in laboratorio, oltre quelle già previste ed eseguite sul campo.
In base alle risultanze dell’incidente probatorio e soprattutto delle misure eseguite sul posto nonché delle analisi di laboratorio dei campioni prelevati dal fondo e dai margini della vasca A, ritengo, per il ruolo che ricopro di consulente di parte dei Comuni di Mola di Bari e di Conversano, parte lesa nella vicenda, di proporre le mie osservazioni su i risultati complessivi dell’incidente probatorio seguendo il percorso logico indicato dai quesiti che il GIP ha posto al Perito, con un’attenzione particolare alle conseguenze reali che questa vicenda può indurre sulla salute umana e la salubrità dell’ambiente.
I quesiti posti dal giudice si possono suddividere in due distinte categorie:
la correttezza della posa in opera e dell’integrità della geomembrana a copertura della barriera
minerale;
Le questioni inerenti alla corretta realizzazione della barriera minerale, l’idoneità dei materiali utilizzati per tale barriera e le caratteristiche della barriera minerale realizzata soprattutto in riferimento al suo coefficiente di permeabilità.
I quesiti del giudice si sono concentrati soltanto sulla vasca A, non ancora in esercizio, le cui caratteristiche dovevano essere conformi a quanto dispone il decreto legislativo n. 36/2003.
Se lo stato attuale della vasca è quello corrispondente ai risultati che l’incidente probatorio ha prodotto, e non vi è ragione di dubitarne, non è difficile dedurre che verosimilmente anche la vasca B, che invece contiene al suo interno rifiuti solidi urbani biostabilizzati sia simile strutturalmente ed ha le stesse caratteristiche ma soprattutto le stesse criticità dimostrate dalla vasca A.
L’elemento di un’accresciuta preoccupazione sta nella constatazione che quest’ultima vasca è stata già impegnata dai rifiuti, i cui residui, verosimilmente il percolato, può agevolmente penetrare nelle parti sottostanti, superando la barriera minerale, che ha dimostrato il suo limite nella maggiore permeabilità, interessando potenzialmente in qualche maniera il sottosuolo fino a raggiungere la falda sotterranea.
I quesiti che ha posto il GIP si basano su ciò che prescrive il decreto legislativo 36/2003, proprio per quanto riguarda le caratteristiche e le modalità di realizzazione delle discariche in generale e di quelle per i rifiuti solidi urbani in particolare.
L’elemento più importante che lo stesso decreto legislativo ritiene imprescindibile ed inderogabile è la barriera che deve essere in grado di impedire qualsiasi infiltrazione dei prodotti della discarica nell’ambiente.
La finalità del succitato decreto è quella di prevenire o ridurre il più possibile le ripercussioni negative della discarica sull’ambiente e ridurre i rischi sulla salute umana. Per salvaguardare questo principio fondamentale il decreto succitato, nel suo allegato fissa i “criteri costruttivi e gestionali degli impianti di discarica”.
Prima dell’entrata in vigore di questa legge, in assenza di qualsiasi regolamentazione, le discariche offrivano poche garanzie di sicurezza e di salvaguardia. Anche la parte, ormai esaurita della discarica Martucci di Conversano, in mancanza di queste leggi, non è stata costruita con gli stessi criteri della vasca A, cioè quelli attualmente in vigore. Anche la gestione della discarica è stata regolata da leggi diverse dall’attuale decreto legislativo 36/2003.
Nella fattispecie, al momento dell’individuazione del sito da destinare a discarica non sono state tenute in considerazione le caratteristiche del territorio. Se la scelta fosse stata fatta con la normativa vigente certamente le caratteristiche del territorio non avrebbero consentito l’attuale ubicazione della discarica.
Anche se nei pressi del sito dove è inserita la discarica non vi sono doline o inghiottitoi, la zona è comunque interessata da ampi fenomeni di carsismo, che oggi, in presenza di una discarica in funzione da oltre trent’anni, richiedono con maggiore forza misure, previste normalmente per una discarica, per aumentare con barriere minerali e sintetiche la capacità impermeabilizzante del fondo e degli argini delle vasche, per impedire l’infiltrazione del percolato nel sottosuolo.
La particolarità geologica del sito dovrebbe dare indicazioni diverse dal continuare ad accumulare rifiuti, sia pure biostabilizzati, in particolare laddove esistono pericoli probabili o ancora di più dove sono evidenti i fenomeni di carsismo.
La normativa cita espressamente gli strumenti per salvaguardare più specificatamente le risorse idriche sotterranee. Perciò detta due condizioni che per qualsiasi discarica devono essere soddisfatte e cioè conducibilità idraulica K ≤ 1 x 10-7 m/sec spessore barriera minerale ≥ 1 metro
Questa è una prerogativa imprescindibile ed una parte dei quesiti del giudice ha mirato ad accertare questo importante requisito. Nel caso in cui la barriera naturale non riesca a ottenere questi risultati, la legge prevede la possibilità di aggiungere altre barriere artificiali, nella fattispecie una geomembrana in HDPE (polipropilene ad alta densità) di spessore tale da garantire una quasi assoluta impermeabilità.
La geomembrana così è stata un altro aspetto sul quale il GIP ha concentrato la sua attenzione chiedendo, nel quesito, di accertare l’integrità della geomembrana e, se violata, di accertare la presenza e le cause di eventuali lesioni o lacerazioni.
Seguendo il percorso dei quesiti che il GIP ha rivolto al Perito avanzo le seguenti considerazioni:
1) Geomembrana
Le indagini sul manto impermeabile in HDPE (polietilene ad alta densità) sono state condotte dalla Società GAIT, specialista in questo tipo di indagine, secondo le procedure e il calendario previste nel Piano delle Indagini.
Le rilevazioni geoelettriche hanno rivelato la presenza di 108 rotture localizzate in 34 posizioni. Le dimensioni variano da un minimo di circa 0,7 mm² ad un massimo di 7000 cm². Di queste 108 rotture, come si legge nel rapporto redatto da GAIT, 83 sono fori dovuti a “punzonamento dall’alto causato da sassi o mezzo meccanico, 2 sono incisioni lineari, 22 sono lacerazioni causate da cedimenti differenziali o mezzo meccanico”. Se si trascurano i piccoli fori dovuti a punzonamento dall’alto o da sassi, questi possono rientrare nella casistica che può definirsi “fisiologica”. Può succedere, sia nella fase di posa in opera o in maniera assolutamente accidentale durante le operazioni di completamento del fondo della vasca che possono essere avvenuti episodi assolutamente fortuiti che hanno dato origine a queste anomalie. Se fossero state rilevate soltanto queste non sarebbero sorte preoccupazioni per la sicurezza ambientale.
Purtroppo sono state rilevate altre anomalie ben più importanti e di dimensioni che variano da un minimo di 0,1 m² ad un massimo di 0,7 m². È stata rilevata anche una serie di fori (26) che disegnano la traccia di cingoli di una macchina operatrice. Un analogo rilievo ha confermato altre rotture dove è evidente l’impronta di un cingolo di un mezzo meccanico.
Così anche le lacerazioni di notevole entità, delle dimensioni citate in precedenza, possono essere statecausate da cingoli delle stesse macchine operatrici, avvenuta probabilmente durante la fase di completamento del fondo della discarica.
Anche se le cause sono chiare in quanto ritengo che non si possa concepire una diversa origine, se non a incidenti di questo tipo, il solo fatto che siano successe rivela purtroppo una grande superficialità applicata nel compiere queste operazioni estremamente delicate. Probabilmente non sono state nemmeno addotte quelle precauzioni minime da parte di chi aveva la responsabilità del controllo e della direzione dei lavori, per limitare al massimo tali eventi. Se la presenza di piccoli fori fa parte dell’imponderabile, certamente le lacerazioni di più grandi dimensioni non appartengono alla stessa categoria. Chi ha operato non poteva non sapere che l’uso di mezzi meccanici per giunta pesanti non è consigliabile per sistemare lo strato ghiaioso del fondo della discarica, a meno di prendere le necessarie precauzioni ben sapendo che i tagli o le lacerazioni della geomembrana, che comunque non sono visibili, perché coperti dallo strato superiore, costituiscono una forte compromissione della sua funzione impermeabilizzante.
Queste anomalie, rilevate con il sistema geoelettrico, tuttavia, stridono fortemente con le misure correlate strettamente con la posa in opera del manto impermeabile con particolare riferimento alle saldature. Le prove di resistenza allo snervamento delle saldature a doppia traccia eseguite nella fase di posa in opera hanno evidenziato che queste sono state eseguite correttamente. Ciò costituisce un ulteriore elemento che rafforza la tesi della superficialità di esecuzione dei lavori. Se anche la posa in opera fosse stata eseguita non correttamente e con una scarsa attenzione, alcune delle rotture rilevate avrebbero interessato anche le saldature e non esclusivamente il corpo della geomembrana, come difatti è.
Questo particolare la dice lunga sulle modalità di gestione della realizzazione delle due vasche di soccorso.
Così le preoccupazioni dell’Amministrazioni Comunali di Mola e di Conversano aumentano maggiormente, al pensiero che, in una condizione simile si può trovare anche la vasca B che, a differenza della vasca A, è già entrata in esercizio, e che c’è ragione di ritenere che le due vasche siano state realizzate con gli stessi criteri.
Per quanto riguarda lo stato attuale della geomembrana così com’è stato rilevato, ritengo superfluo qualsiasi intervento di ripristino, se, come illustrerò in seguito, saranno necessari altri interventi ben più importanti sulla barriera minerale.
2) Barriera Minerale
Le problematiche connesse con l’efficacia della barriera minerale comprendono il tipo, la qualità del materiale utilizzato, la sua compattazione e la permeabilità. Il progetto esecutivo per la realizzazione delle due vasca di soccorso A e B prevedeva nel Capitolato speciale di appalto la fornitura e posa in opera di argilla di Ginosa per l’allestimento della barriera minerale.
Questo materiale era stato scelto per il suo elevato contenuto in limo e argilla e il suo contenuto trascurabile in ghiaia e sabbia. Inoltre era stato indicato questo particolare tipo di materiale per le sue caratteristiche di plasticità e con una costante di permeabilità molto piccola.
A differenza di quanto previsto in progetto, in corso d’opera, senza una motivazione razionalmente accettabile, almeno di quanto è in mia conoscenza, si è proceduto a variare il tipo di materiale per la realizzazione della barriera minerale, sostituendo la prevista argilla di Ginosa con Terra Rossa, esistente sul posto e perciò acquisibile a costi molto più bassi, affermando che avesse le stesse caratteristiche geotecniche del materiale originariamente previsto in progetto.
Se, in effetti, questo materiale avesse avuto veramente le stesse caratteristiche dell’argilla di Ginosa diventa abbastanza arduo comprendere come mai la previsione di utilizzare questo materiale non fosse già stata inserita nel progetto esecutivo, visto che già al momento della redazione progettuale, erano note le caratteristiche della Terra Rossa presente sul posto e che la previsione di questa, nella realizzazione della barriera minerale, avrebbe comportato una spesa di gran lunga minore, rispetto a quanto è stato effettivamente previsto in progetto con l’inserimento dell’argilla di Ginosa. Probabilmente gli stessi progettisti che erano al corrente di questa disponibilità, proprio per le caratteristiche della Terra Rossa, non se la sono sentita di “scegliere” questo materiale per realizzare la barriera minerale ed hanno preferito la “più sicura” argilla di Ginosa.
È più che giustificato il quesito del GIP quando ha chiesto al Perito di accertare la qualità del materiale impiegato per la realizzazione della barriera minerale.
Perciò gli accertamenti previsti nel Piano delle Indagini espressamente sulla barriera minerale si ponevano l’obiettivo di accertare le qualità fisiche e geotecniche del materiale attraverso misure sul posto di densità secca e di permeabilità secondo il metodo di Boutwell.
Proprio il metodo di misura della permeabilità ha costituito uno degli argomenti principali di discussione innescata da alcuni consulenti di parte nei confronti del Perito. La questione, peraltro molto interessante dal punto di vista scientifico tra professionisti di grande spessore, aveva una connotazione molto delicata poiché, in situazioni “al limite” o come poi le misure hanno dimostrato “al di sopra del limite”, la scelta di un metodo di misura piuttosto che un altro può determinare il successo o l’insuccesso di determinate argomentazioni.
Infatti, i Consulenti di parte opponevano al metodo di misura di permeabilità sul posto con il metodo di Boutwell, previsto dal perito nel Piano delle Indagini, il metodo di misura di permeabilità su campioni disturbati 1in cella “edometrica”.
Io ritengo che il metodo di misura di permeabilità sul posto di Boutwell previsto dal Perito sia il più rispondente alla situazione reale, in quanto tiene conto delle reali condizioni di lavoro della barriera 1 Per “di sturbati” si intende rimaneggiati cioè sottoposti ad un trattamento di preparazione secondo la procedura prevista per la misura di permeabilità in laboratorio con cella edometrica. minerale. Tiene conto inoltre della costituzione del materiale impiegato, le eventuali discontinuità del materiale e la difficoltà di compattazione, quella reale e non quella costruita artificialmente in laboratorio, che giocano un ruolo assolutamente determinante nella misura di permeabilità.
È ormai un principio generale acquisito che una misura di qualunque natura sia, geologica, geotecnica, chimica o fisica affinché sia più rispondente alla verità deve tenere necessariamente conto della situazione al contorno in cui l’oggetto della misura è inserito. Nella fattispecie, per la barriera minerale realizzata in Terra rossa invece della prevista argilla di Ginosa, vi era una maggiore necessità di misurare in sito la permeabilità piuttosto che in laboratorio perché è fondamentale conoscere il comportamento reale sul campo invece di quello “ideale” di una prova di laboratorio.
Una misura di laboratorio fornisce in genere risposte intrinseche sulle caratteristiche proprie del materiale ma molto meno sul suo comportamento reale ed i quesiti del GIP esigono risposte se queste misure tengano conto o meno del contesto reale. D’altra parte la risposta a tutte queste discussioni l’hanno fornita proprio i risultati, che hanno mostrato, e non c’era motivo di dubitarne, una differenza sostanziale significativa tra i dati derivati dalle prove di permeabilità sul campo e quelle in laboratorio.
Scendendo nello specifico ritengo importante soffermarsi a considerare prima di tutto i risultati di misure che esprimono la qualità del materiale, e successivamente del suo comportamento, vale a dire quelle di permeabilità.
Dalla tabella dei risultati della densità secca, trasmessi dal Perito, emergono due aspetti significativi:
a) La differenza sostanziale di densità tra il valore dell’argilla di Ginosa e la densità della terra rossa;
b) L’andamento della densità secca della Terra rossa in funzione della profondità.
L’argilla di Ginosa ha mostrato un valore medio di densità pari a 1,466 kg/dm³ con un valore massimo di 1,645, un valore minimo di 1,296 ed un intervallo di variabilità pari a 0,51.
La Terra rossa ha mostrato un valore medio di 1,214 kg/dm³ con un valore massimo di 1,473 e un valore minimo di 1,080 con una variabilità di 0,47.
Ciò vuol dire che l’argilla di Ginosa ha mostrato una densità secca superiore a quella della Terra rossa di circa il 17%. Questo significa che come caratteristica la Terra rossa che è stata utilizzata invece della prevista argilla di Ginosa ha una qualità inferiore rispetto a quest’ultima almeno per quanto riguarda la densità secca.
Un’altra osservazione che ritengo significativa è l’andamento della densità secca mostrato dalla Terra rossa in funzione della profondità. Utilizzando i dati della densità dei campioni di Terra rossa prelevati a differenti profondità si è avuta netta l’impressione che la densità secca vari in maniera quasi lineare con la profondità, con un buon coefficiente di correlazione andando dalla superficie, cioè al livello zero fino ad una profondità di 40 cm, per poi rimanere costante fino a 60 cm che è stata la profondità massima di prelievo dei campioni.
Se la densità secca del materiale determina la compattazione della barriera minerale e la compattazione determina la permeabilità, è facile comprendere come, andando dalla superficie agli strati più profondi, la diminuzione della densità significa diminuzione della compattazione e questa determina inevitabilmente un aumento della permeabilità.
La Terra rossa, almeno com’è stata messa in opera nella realizzazione della barriera minerale ha una densità inferiore di quella che poteva avere l’argilla di Ginosa, con tutte le conseguenze che ciò comporta sulla misura di permeabilità. La densità del materiale, inoltre, è funzione della distribuzione granulometrica.
L’analisi granulometrica, infatti, ha messo in evidenza che quando aumenta la percentuale di sabbia e ghiaia, diminuisce di conseguenza la densità e con questa aumenta il valore della permeabilità. La Terra rossa analizzata ha mostrato avere una percentuale tra ghiaia e sabbia del 25% in media mentre la somma in percentuale di sabbia e ghiaia contenuta nell’argilla di Ginosa e di poco più del 7%.
Questo probabilmente è un altro motivo perché il progetto prevedeva l’utilizzo dell’argilla giallastra di Ginosa invece della Terra rossa. Anche nella compattazione la terra rossa non si comporta alla stessa maniera dell’argilla di Ginosa, poiché la maggiore percentuale di ghiaia e sabbia nella Terra rossa limita e non di poco il grado di compattazione della barriera minerale determinando un grado di permeabilità non soltanto notevolmente superiore a quello dell’argilla di Ginosa ma superiore anche al limite massimo di permeabilità indicato dal decreto legislativo 36/2003.
Queste differenze di permeabilità sono evidenti soltanto nelle misure in sito e non in quelle in laboratorio.
Le misure effettuate in sito su campione indisturbato secondo il metodo di Boutwell, comprendono nel suo insieme la composizione del materiale così com’è, con la sua percentuale di ghiaia e sabbia che impediscono il raggiungimento di una compattazione ottimale e di conseguenza di ottenere dei bassi valori di permeabilità.
Le misure in laboratorio invece, su campioni rimaneggiati, cioè elaborati opportunamente eliminando la frazione sabbiosa e ghiaiosa, adeguatamente compattati applicando una determinata pressione, danno risultati di permeabilità molto più bassi di qualche ordine di grandezza. È evidente che quando da un materiale si lascia soltanto la frazione limosa e argillosa e la si compatta applicando una determinata pressione, ci si mette nelle condizioni ideali per raggiungere valori di permeabilità di molto inferiori al limite indicato dalla legge.
Infatti, i valori delle misure di permeabilità in sito ottenuti con il metodo di Boutwell sono risultati essere tutti superiori al limite di legge di 1,0 x 10-7 metri/secondo, mentre i valori delle misure di permeabilità eseguite in laboratorio su campione disturbato sono risultati tutti essere inferiori a detto limite.
Tuttavia i risultati delle misure di permeabilità effettuate in laboratorio su campioni indisturbati, prelevati il 9 ottobre 2013 con il metodo Shelby, anche se per la maggior parte sono risultati essere inferiori al valore di 10-7, ve ne sono alcuni che, nonostante l’applicazione di una pressione e in cella “edometrica” invece si sono rivelati superiori a questo valore, sia pure di poco.
Queste considerazioni mi hanno portato a ritenere che i risultati delle misure di permeabilità più vicini alla situazione reale, e cioè più veri, siano quelli ottenuti in sito con il metodo Boutwell, misure d’altra parte, è opportuno ribadirlo, che tengono conto della barriera minerale nel suo complesso, che mette maggiormente in evidenza l’influenza della densità secca del materiale e quindi della frazione di sabbia e ghiaia contenuta nella terra rossa, sul valore della permeabilità.
D’altra parte un’indicazione che i valori delle costanti di permeabilità sarebbero stati superiori al limite indicato dalla legge è emersa durante le operazioni di misura sul campo. La velocità con la quale l’acqua immessa nel “casing” veniva assorbita, l’impossibilità di completare le prove di permeabilità, effettuando la fase 2 della misura, la cosiddetta permeabilità orizzontale, per me sono stati indicatori molto importanti per comprendere che il fondo e ancora di più gli argini della vasca non aveva una permeabilità che potesse essere dello stesso ordine di grandezza ma ancora di più, inferiore, al limite di legge.
Evidentemente le prove di laboratorio hanno lo scopo principale di valutare le caratteristiche di un materiale in sé, ma sono molto meno adatte per capire la permeabilità d’un determinato materiale messo in opera in un determinato contesto.
Conclusioni
Così oltre alle lacerazioni della geomembrana messe in luce dopo l’indagine geoelettrica e che comunque hanno costituito un elemento di preoccupazione per la potenziale efficienza della vasca sotto indagine, ma anche di quella avviata all’esercizio, anche la costituzione della barriera minerale, la sua compattazione e il valore della sua costante di permeabilità, superiore al limite di legge sono un ulteriore pesante elemento di criticità.
Pertanto i risultati dell’incidente probatorio, a mio modesto parere, hanno risposto in maniera assolutamente chiara ai quesiti del GIP. Da tutti gli elementi raccolti emerge che le criticità della vasca di soccorso A oggetto dell’indagine dell’incidente probatorio siano originate da:
a) per quanto riguarda le lacerazioni della geomembrana, se messe a confronto con la correttezza e la cura con la quale è stata eseguita la posa in opera, così come evidenziano le saldature a doppia traccia perfettamente eseguite, ci si rende conto che queste sono state generate da una forte dose di leggerezza e superficialità da parte di chi aveva il compito di completare i lavori tenendo conto di quanto era stato fatto fino a quel momento. Non si possono fare interventi per completare il fondo della vasca, con macchine che possono danneggiare quanto è stato fatto precedentemente, ma si devono prendere tutte le precauzioni per salvaguardare il lavoro fatto e completare ciò che resta con il massimo dell’attenzione. In questo passaggio sono perciò evidenti le responsabilità di un mancato controllo e supervisione durante la realizzazione dell’opera.
b) per quanto riguarda la barriera minerale bisogna tenere presente i seguenti aspetti:
1. Il progetto prevedeva l’utilizzo dell’argilla di Ginosa, che aveva caratteristiche ben precise e vantaggi tecnici innegabili come l’elevata concentrazione di limo e argilla che le conferiva particolari proprietà di compattezza e di permeabilità.
2. Senza il supporto di una valida giustificazione tecnica, durante la realizzazione della barriera minerale è stata utilizzata la terra rossa adducendo il motivo che la fornitura di questa era più economica in quanto reperibile sul posto e che inoltre non vi erano grandi differenze di caratteristiche tecniche tra i due materiali.
I risultati invece sono stati ben altri con la realizzazione di una barriera minerale, con un materiale, la terra rossa, che aveva caratteristiche difformi e peggiorative rispetto al materiale previsto e con prestazioni ben lontane dalle indicazioni di legge, come peraltro hanno dimostrato i risultati delle misure di permeabilità.
Vi è infine un quesito del GIP che chiede quali accorgimenti tecnici sono necessari alla luce dei risultati e conformemente alle previsioni progettuali e di capitolato oltre al rispetto della normativa vigente per la messa in sicurezza della Vasca A.
Ritengo che a partire dal fondo della discarica, per tutta la superficie, debba essere realizzata una nuova barriera minerale dello spessore di 1 m, costituita “completamente ed esclusivamente” di argilla di Ginosa e compattata con le stesse modalità previste in progetto. Sulla barriera minerale deve essere sistemato, per tutta l’estensione della vasca e degli argini un ulteriore telo di geomembrana in HDPE delle stesse caratteristiche di quello esistente, sul quale porre in opera un telo tessuto non tessuto e sul quale completare il fondo della discarica secondo le indicazioni del progetto originario.
Naturalmente, una volta accertate le responsabilità, gli oneri di questi interventi devono gravare sui responsabili.
Infine mi preme sottolineare quale consulente delle Amministrazioni Comunali di Mola di Bari e di Conversano, che solo per spirito di responsabilità si può accettare di ripristinare soltanto la vasca A per consentire la regolare ripresa del servizio, che comunque deve essere rigorosamente controllato e limitato nel tempo e fino al raggiungimento della colmatura del bacino ripristinato.
Non si deve intendere questa disponibilità come acquiescenza passiva ma come un invito responsabile a riflettere seriamente sull’intero sistema del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Si è visto che la filosofia dell’accumulo di rifiuti ha fatto ormai il suo tempo, che è sempre più difficile trovare altri spazi dove istallare nuove discariche, perché nessuna popolazione vuole una discarica nel proprio territorio.
Il detto “…dovunque ma non nel mio giardino”, specialmente in questi tempi, vale come non mai!
Perciò le istituzioni che hanno compiti di governo e di pianificazione territoriale devono fare un significativo salto di qualità, approdando finalmente alla filosofia di trasformare il rifiuto in risorsa in termini di energia e di massa, seguendo i sentieri tracciati in Europa e che molte città e territori in Italia stanno percorrendo e con ottimi risultati già da qualche anno.
Non è più tempo di dichiarazioni di intenti ma di cominciare a realizzare anche dei piccoli impianti sperimentali, per iniziare a mettere i primi passi in un campo nuovo, che si chiama Futuro.
Mola di Bari, 23 Novembre 2013
Dott. Raffaello di Marino
Consulente Tecnico di parte per i Comuni di Mola di Bari e di Conversano