Prosegue la nostra indagine sull’artigianato conversanese: intervista al Sig. Diomede Alfarano, che nella sua bottega di orologeria ci ha raccontato del suo mestiere e delle sue trasformazioni nel tempo
Conversano – Se è vero che il tempo è denaro, è anche vero che una cosa che il denaro non potrà mai comprare è proprio il tempo. Noi possiamo correre, rallentare o fermarci ad aspettare, ma il Tempo non aspetta. Signore coerente ed imparziale, scandisce con onestà la vita di tutti, senza eccezioni né favoritismi. Il suo scorrere inesorabile, tuttavia, necessita da sempre di strumenti che, con l’illusione di catturarlo, si limitano se non altro a misurarlo: gli orologi. Ed è proprio di questi affascinanti strumenti, del rapporto con il tempo, con i tempi, e con l’evoluzione della tecnologia che abbiamo parlato con l’Orologiaio conversanese per antonomasia.
Varcare la soglia della sua bottega è come fare un salto indietro nel tempo, ma non senza contaminazioni moderne. Tra classici pendoli in stile Tempus fugit e orologi da muro spiccano gigantorologerie moderne e svegliette colorate, mentre oltre il vetro del bancone si accalcano centinaia di casse di orologi da polso più o meno luccicanti. Con estrema simpatia ed un sorriso sempre cortese, il Sig. Alfarano sembra lieto di chiacchierare con me e, soprattutto, di ricordare i tempi in cui fare l’orologiaio gli dava soddisfazioni che negli anni si sono via via perdute, proprio come il suo mestiere.
Da quanto tempo fa questo lavoro?
“Sono più di cinquant’anni ormai, andavo a scuola la mattina e il pomeriggio alle due andavo con il treno a Bari ad imparare il mestiere. Sono stato a Monopoli circa 2-3 anni e poi mi sono sposato e ho aperto qui a Conversano. Trovai questo locale in affitto e da oltre quaranta anni sto qui”.
Come è cambiato il suo mestiere nel tempo?
“Era meglio prima, adesso con l’elettronica è finito tutto. Prima era tutto meccanico, adesso è quasi tutta elettronica. Prima si rompevano l’asse del bilanciere e altre cose che ora non esistono quasi più. Sono tutte fesserie adesso, è cambiato il circuito, la spesa di riparazione è parecchia e con la crisi che c’è le persone non spendono più soldi. Ho bustoni pieni di orologi che devo buttare, perché me li portano, li lasciano e non vengono più a prenderli. Io di chiedere l’acconto non me la sento, e ad essere onesti fare questo mestiere non conviene più. Quando chiuderò io – penso tra un paio d’anni al massimo-, a Conversano non ci sarà più nessuno, ci sono addirittura comuni che non hanno proprio l’orologiaio. Io per un periodo, per guadagnare qualcosa in più, volevo aprire anche a Mola, stando due giorni qua e due giorni là. Trovai un locale, e sicuramente aumentavano le spese, ma potevo ricavare qualcosa in più. Poi però non feci più niente. Il padrone del locale era un molese americano, andai molte volte a cercarlo ma non lo trovavo mai, e mi passò la volontà”.
Questa, quindi, è una categoria che si sta estinguendo. Ma a Lei piace ancora farlo?
“Sì, il lavoro si è molto ridotto perché ora c’è la batteria ed è fatto. A me dopo cinquanta anni piace ancora, ci vuole tanta concentrazione è vero, ma è bello. Forse piace più a me vedere gli orologi che riprendono a funzionare che a quelli che li portano. Per esempio guarda questo (indica un orologio da tavolo), è del 1830, e vederlo in funzione mi piace. Questo è un orologio da collezione, però sai cosa c’è? Quello è di un amico, quell’altro è di un conoscente, e non si guadagna niente. Vedi (additando un suo amico che entra), non posso chiedere a lui i soldi. Non c’è più l’utilità che c’era una volta. Io poi alla pensione sono arrivato, ma siccome la pensione è una fesseria tiro avanti un po’ così, ma mi sono stancato. Questo ormai è diventato un lavoro da città, se vuoi vedere un po’ di soldi lo devi fare in città, perché appena entrano, si fanno fare un preventivo e ti lasciano un acconto. Non stanno lì a perdere tempo. In paese, invece, ci conosciamo tutti, non stai certo a dire ‘lasciami l’acconto di due euro’”.
Che tipo di clientela ha?
“Vengono un po’ tutti, perché ora con gli orologi moderni basta solo cambiare la batteria, orologi vecchi non ce ne sono quasi più. Però, proprio mezz’ora fa è venuto un vecchietto che aveva un vecchio orologio e gli ho cambiato l’affare per dare la corda”.
Gli orologi in questa bottega sono tutti dei clienti?
“Questi orologi sono dei clienti, ma la metà non verrà più a ritirarli. Io però mi ricordo di chi sono. Succede che vengono a riparare altre cose, ma fanno finta di niente, e anche io faccio finta di niente, perché mi conviene tenerli per i pezzi di ricambio, e guadagno di più. Poi, se passano tanti anni e a qualcuno piacciono li vendo pure, soprattutto alcuni pezzi più antichi per gli appassionati. Qualcuno è anche tornato a reclamare il suo orologio dopo che lo avevo venduto, e voleva pure mandarmi i carabinieri. ‘E mandali, io qua sto’, dissi. Ma non è mai venuto nessuno”.
Ha mai avuto qualche richiesta particolare?
“Solo una volta, quando lavoravo a Monopoli. Mi venne l’idea di fare un grande orologio a cuore, andai da un fabbro e mi fece la struttura, con un cuore più piccolo al centro, e lo appesi in vetrina. Un giorno passò un falegname piuttosto anziano e mi chiese se poteva copiarlo in legno e se potevo spiegargli come mettere la macchina all’interno. Fece un lavoro bellissimo che durò quasi tre mesi, con il cuore in legno, tutto ad incastro, i numeri intarsiati, in legno chiaro e scuro. Era uguale allo scheletro che avevo fatto io. Quando lo portò per mettere la macchina lo tenni nella bottega qualche giorno per controllare il funzionamento. Tutti quelli che passavano dalla vetrina lo ammiravano. Era il 1972, un signore gli voleva dare 700 mila lire per venderglielo, lo pregò, ma il falegname non ne volle sapere, perché lo fece per sé.
Ogni tanto capita qualche riparazione particolare, che nessuno ha saputo fare, e allora la lasciano a me. Persino al vescovo Padovano, con l’aiuto di mio un amico tornitore, aggiustai un orologio coi pupazzi in miniatura che comprò in Canada. O un’altra volta, alla Madonna della Stella, un’estate i bambini fecero gli orologi, come lavoretto, e io gli comprai e montai le macchine”.
Ci sono giovani che vogliono imparare questo mestiere?
“No. Anni fa veniva qualcuno in estate, ma solo per guadagnare qualcosa, non per imparare. Non c’è una scuola per i ragazzi, per apprendere. Gli artigiani sono pochi, come pure gli orafi, e per imparare qualcosa bisogna andare a Vicenza e altre città. Ormai il lavoro è diminuito dell’ottanta per cento. Sviti tre viti, cambi la parte elettrica, rimetti le tre viti ed è fatto l’orologio, ma non ti senti orologiaio. I tempi sono cambiati, però può darsi che uscirà qualcos’altro nell’ambito degli orologi e le cose cambieranno”.