La scena della consegna da parte di Sciaudone e compagni che offrono cornetti e acqua ai tifosi accaldati mentre fanno la fila per acquistare il biglietto della partita Bari-Latina, merita grande attenzione per una serie di motivazioni. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo modo di intendere il calcio fino ad ora ancorato al giocatore leader, schivo, con la puzza sotto il naso, capace al massimo di procurare un biglietto ad un amico con la “raccomandazione” senza farlo passare da alcuna fila.
Il calcio è malato: di protagonismo, di ricchezze ostentate e immeritate, di scommesse alla faccia dei tifosi o con qualcuno di loro dentro fino al collo. La malattia del calcio è la malattia della nostra società: immagine e poca sostanza. E ha bisogno di essere rilanciato con gesti, comportamenti e azioni che rompano lo stereotipo dell’inavvicinabilità dei protagonisti visti come icone ma molto spesso vuoti dentro, senza valori se non quelli del denaro. Guadagni spropositati di milioni di euro l’anno ne fanno dei modelli da seguire. Come lo stesso calciatore della Roma, De Rossi, ha ammesso parlando dei più giovani sempre più vogliosi di emulare i big non tanto nel valore sportivo e calcistico quanto in quello del guadagno.
Sciaudone, Defendi e altri giocatori del(la) Bari mentre porgono i cornetti alla crema e distribuiscono acqua ai tifosi azzerano le distanze, ridiventano uomini tra gli uomini e riescono a creare un feeling indissolubile con il tifo. Soprattutto quello non organizzato e composto da famiglie intere. Il fenomeno del(la) Bari, a prescindere da quello che sarà il risultato finale della competizione agonistica, ci insegna che c’è la speranza e che anche in quel mondo fatto di suggestioni e ricchezza c’è tanta umanità da far emergere. E a Bari quell’umanità è emersa nel momento più difficile per una squadra e per una storia. Ragazzi lasciati senza una società, senza stipendi (equi), si sono innamorati di una città e hanno cominciato a pensare da soli che forse era il modo per mostrare il lato migliore di chi ha quella giovane età. Hanno distribuito cornetti, acqua, selfies, si sono allenati sul lungomare per riavvicinare i tifosi quando nessuno osava ancora avvicinarsi allo stadio a causa del permanere della dirigenza Matarrese. E ne hanno conquistato il cuore e l’affetto. Una storia felice e piena di incredulità. In quasi 60 mila allo stadio, con un’azione di marketing gratuita, senza regia se non quella del senso di responsabilità di giovanissimi. Accomunati dalla voglia di stare insieme senza il dubbio della scommessa e senza retro pensieri.
Da questi uomini, da queste tifose e questi tifosi giunge una bella novella: il calcio si può rivoluzionare. E’ bastata la gioia di alcuni ragazzi per trasportare tutti gli altri in un sogno collettivo. E questi miracoli solo lo sport avrebbe potuto farli.
Offcanvas menu