Pietro Ingrao: una vita lunga un secolo

Il 30 marzo l’esponente storico della sinistra compie 100 anni

di Piero D’Argento

Pietro Ingrao compie 100 anni. Una vita lunga un secolo, che non basterebbe una biblioteca intera a raccontarla, tanto la biografia del vecchio dirigente comunista appare pervasa dalle vicende grandi e drammatiche che hanno segnato la storia del nostro Paese nel corso del Novecento. Dalla maturazione giovanile dell’antifascismo alla guerra di Liberazione, dalla nascita della Repubblica alla costruzione del più importante Partito Comunista dell’Occidente, dalla stagione del terrorismo fino alla svolta della Bolognina dell’89, e poi ancora fin quasi ai nostri giorni, nel gorgo dell’interminabile ricerca di una forma compiuta alle aspirazioni della sinistra italiana, Ingrao ha rappresentato un riferimento importante per intere generazioni di militanti.

Amatissimo dal popolo comunista, anche da quelli – sempre tanti, la maggioranza – che poi non lo votavano nei congressi del Partito, i suoi libri, i suoi articoli su Rinascita e su L’Unità erano oggetto di grandi e appassionate discussioni nelle sezioni del PCI in ciascun paese o città, anche a Conversano, dove il dibattito politico locale era ravvivato – fino al termine degli anni 80 – dalla presenza di un piccolo ma vivace gruppo di ingraiani.

Eppure, a volerlo definire sia pure schematicamente, non si sa bene a quale orientamento dottrinale agganciarlo, quello che la vulgata storicista definisce l’«ingraismo». Una grande attitudine all’analisi dei cambiamenti più profondi della società italiana, una tensione etica costante, una pervicace fede nella pratica del dubbio, insieme alla straordinaria capacità di farti sentire parte – a te lettore, a te giovane militante – di una vicenda collettiva più grande, della storia di un popolo: in tutto questo, almeno in parte, si misura il fascino della personalità del vecchio dirigente comunista. Eppoi quella sua testarda apertura ai fermenti vivi della società, i movimenti giovanili, il pacifismo, l’ambientalismo, che gli valse il netto dissenso, se non la scomunica, dell’apparato, dell’ortodossia, bollandolo per sempre – non senza una certa superficialità di giudizio – come «Ingrao l’eretico». Una riflessione feconda, che ancora oggi alimenta tanta ricerca sul contributo che possono offrire alla maturità della nostra democrazia le pratiche di cittadinanza attiva, come testimoniato dal lavoro di Peppino Cotturri, che di Pietro Ingrao fu, ai tempi della direzione del Centro per la Riforma dello Stato, uno dei principali collaboratori.

Sappiamo per certo, per come lo abbiamo conosciuto, che se potesse leggere tutto quello che in questi giorni si scrive su di lui, Pietro Ingrao proverebbe un certo disagio; per il ritegno, la ritrosia a parlare di sé che lo hanno sempre caratterizzato, anche nella sua vita pubblica. Si chiederebbe se vale l’impegno questa grande attenzione alla sua persona, questo esercizio di memoria collettiva della sinistra italiana: “È la vanità di stare ancora e per sempre sulla scena o è un tentativo di salvezza?”. Tanti auguri, compagno Pietro.

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