Lorita Sanna: “La soddisfazione è inevitabile quando qualcuno è disposto a metterti alla prova, perché crede nella tua voglia di imparare. È un qualcosa che non sempre ho potuto provare qui”.

L’innata curiosità per le culture altrui, il piacere di viaggiare, la voglia di imparare e affermarsi nella futura professione di Ingegnere l’hanno portata in Irlanda….

Conversano – Tanto studio, tanti sacrifici, tanti “extra” come barista e cameriera, idee chiare e tanta testarda caparbietà affinchè il “sogno” di esercitare la professione di Ingegnere Civile si avveri solo e grazie alle proprie capacità, al proprio merito.
Lorita Sanna, nostra giovane concittadina, è tutto questo. Lo scorso anno, autonomamente e autofinanziandosi, ha gettato le basi della sua futura professione recandosi in Irlanda, a Dublino, dove ha lavorato, gratuitamente, presso una importante azienda edile. Una esperienza che, come vedremo, è stata formativa e molto gratificante.
Lorita, presentati ai nostri lettori. Studi a Conversano e…. poi?
“Ho quasi ventiquattro anni e, come la maggior parte dei miei coetanei, vivo ancora a casa dei miei genitori. Tuttavia, l’idea della “paciona” non mi è mai piaciuta e da diversi anni, ormai, mi cimento in vari lavori extra, per cercare di non gravare su di loro, per quanto possibile. Ho iniziato da stagista nel campo giornalistico – pubblicitario, per poi passare dalla consulente informatica alla posizione di barista e ancora da mescitrice a cameriera.
Esperienza lavorativa a parte, mi definisco come una persona che ha molti interessi e un’innata curiosità, in particolar modo per le culture e tradizioni altrui. Per quel che mi riguarda, viaggiare, fare esperienze, conoscere sempre nuova gente, sono gli ingredienti principali della mia “ricetta di vita””.
Dopo il Diploma hai scelto la facoltà di Ingegneria, quali sono state le motivazioni e perché.
“La scelta non è stata immediata. Avere tanti interessi e cavarsela abbastanza bene in tutte le materie, a volte, può essere un’arma a doppio taglio. A primeggiare, da un lato c’era la mia passione per l’inglese, la storia, la filosofia; dall’altro la mia abilità con i numeri.
Mi vedevo bene un po’ in tutto, insomma, tranne che come medico (ho avuto sempre una certa repellenza nei confronti di tutto ciò che fosse correlato alla biologia! ).
A pochi mesi dalla fine del liceo, giunsi alla consapevolezza che la cosa più sensata da fare fosse pensare in cosa avessi investito più tempo sin dagli anni della mia infanzia, ai miei giochi e passatempi preferiti, insomma: disegnare, progettare, costruire. Sì, sono sempre stata più tipa da foglio, matita e lego, più che da barbies e peluches (interessi poco popolari tra le mie amiche ma molto più comuni tra le mie colleghe di università!).
A quel punto la lista delle potenziali facoltà non poteva che ridursi ad un unico binomio: architettura – ingegneria civile. La decisione definitiva pervenne solo a metà settembre, dopo aver superato entrambi i test di ammissione. A quel punto, sono stati i prospetti, già critici, dell’epoca circa le opportunità di lavoro come architetto, in Italia, a spingermi verso ingegneria civile. Ed eccomi qui all’ultimo anno di magistrale”.
Nell’intervista rilasciataci il 7 febbraio u.s. dal nostro concittadino Francesco Fanizzi, (pubblicata nella sezione “Attualità – Interviste” di oggiconversano) rispondendo alla domanda su quali fossero stati i motivi che lo portarono a Monaco di Baviera, in un passo della risposta dichiarava: “(…)In sintesi all`estero si presta più attenzione all`acquisizione di competenze pratiche e alla “professionalizzazione” dello specializzando in chirurgia (…)”.
Tu lo scorso anno, dopo il conseguimento della laurea triennale, hai vissuto una esperienza formativa di sei settimane in Irlanda, a Dublino.
Ti riconosci su quanto affermato da Francesco in merito alla “attenzione” che si ha all’estero nei confronti dello specializzando, e nel tuo caso, nel tirocinante e/o studente? È stato così anche per te a Dublino? Puoi raccontarci quale è stato il percorso che ti ha portato in Irlanda e le motivazioni che ti hanno spinto a farlo?
“L’attenzione che si ripone nei confronti del tirocinante, probabilmente, è tra gli aspetti che più mi hanno colpito. Lo studente deve essere seguito da un tutor, che è tenuto a dividere il suo tempo tra il suo lavoro e le spiegazioni che lo studente necessita. Per l’azienda lo studente è un potenziale futuro collaboratore, pertanto il tempo che l’ingegnere impiega per lo studente è “investito” sullo stesso. Ovviamente, come tutti gli investimenti, c’è la possibilità che si stia facendo un affare, così come, d’altro canto, quella che si stia solo sprecando risorse (ma quando il tirocinante non costa letteralmente nulla, tentar non nuoce, no?)
Lo studente, pian piano, viene sottoposto a continue prove, che richiedono una sempre maggiore responsabilità (all’inizio non me ne sono resa conto, ma alla fine la cosa si è fatta più chiara).
L’azienda che non è disposta ad offrire tempo per il tutoraggio, automaticamente non considera alcuna possibilità di tirocinio, neanche gratuito.
Crearmi questa possibilità di internship, seppur sottolineo, non retribuito, non è stato per niente facile. L’Irlanda non è stata affatto il mio primo pensiero. Sono sempre stata una grande fan dell’Inghilterra e, in particolare, di Londra. Ho vissuto lì per dieci settimane, lavorando come cameriera, nella fase post sessione estiva degli esami del 2012 ed è lì che sarei voluta tornare. Nel febbraio del 2015 ho girato più di trenta studi sparsi nella città in due giorni, alla ricerca di una azienda disposta a darmi questa possibilità. Davanti ai “no” all’ unanime, ho deciso di cercare i contatti delle aziende/studi di tutte le maggiori città inglesi. Solo successivamente mi è venuta in mente Dublino. Senza esagerare, avrò inviato almeno (e sottolineo almeno) quattrocento mail. Mi avranno risposto una ventina, di cui solo cinque con risposta ottimistica. Ottimistica nel senso che avrebbero considerato la possibilità di concedermi il tirocinio gratuito, solo se il colloquio via skype fosse stato convincente. L’azienda di Dublino è stata la seconda con cui l’ho fatto. Con la prima azienda (di Bournemouth, nel sud dell’Inghilterra) l’esito era stato già positivo. Tuttavia, questo studio si occupa di “town planning”, il quale, in soldoni, coinvolge urbanisti in prima persona, mentre gli ingegneri solo per cooperazioni esterne. Sarebbe stato il mio premio di consolazione in mancanza d’altro. Il mio obiettivo era, però, cercare di fare una esperienza che fosse quanto più chiarificatoria circa i compiti veri e propri della figura professionale dell’ingegnere, perché la verità è che io (così come i miei colleghi universitari), nonostante una triennale in mano, proprio non ne avevo idea.
Questa è stata la prima vera motivazione che mi ha spinta a voler fare questa esperienza, assieme alla mia irrefrenabile passione per l’inglese. In più ero decisa non solo a farla, ma a farla bene e sapevo che non avrei trovato soddisfazione, restando nella piccola Conversano o comunque nei dintorni”.
In cosa si sostanziava la tua collaborazione con la società presso la quale svolgevi la formazione?
“La collaborazione non è stata mai statica, nel senso che non sono mai stata relegata ad un solo compito, né ad un unico campo specifico. L’ingegneria civile è varia, dai trasporti all’idraulica, dalla geotecnica alle strutture. Essendo una specializzante strutturista, all’inizio ho affiancato gli strutturisti; tuttavia ci sono state occasioni in cui sono stata di supporto anche alle altre categorie. In generale, ho avuto la possibilità di eseguire: verifiche (a mezzo di calcoli, con normativa irlandese e nuovo software alla mano) circa la stabilità degli elementi strutturali di vari edifici in fase di progetto; indagini visive di danni di strutture da sottoporre ad interventi di manutenzione/ristrutturazione, stilando report descrittivi degli stessi; misurazioni sul campo, con redazione di elaborati tecnici e altro ancora.
Tutto, qualcosa più, qualcosa meno, è stato una novità per me. Anche l’approccio alle semplici verifiche strutturali è stato ben diverso da quello impartito, in ambito progettuale, tra i banchi della facoltà. Tirando le somme, però, direi che la vera novità mi è stata riservata nell’ultima settimana di tirocinio, quando sono stata sottoposta a quello che, a posteriori, potrei sicuramente definire come un “working under pressure test”. Un incarico completamente nuovo, abbastanza di peso nell’aiutare l’azienda ad accaparrarsi un appalto di 30 milioni di euro, con scadenza il pomeriggio successivo. Una bella sfida!”.
Sei rimasta soddisfatta, professionalmente parlando, del periodo vissuto a Dublino? Ci ritornerai?
“Soddisfatta? Assolutamente sì. Volevo vivere in prima persona i ruoli della figura professionale dell’ingegnere e ci sono riuscita. Il gran merito dell’azienda è aver creduto in me, quando, oltre al mio titolo di studio e la mia voglia di imparare, non avevo alcuna esperienza nel settore da offrire. La soddisfazione è inevitabile quando qualcuno è disposto a metterti alla prova, perché crede nella tua voglia di imparare. È un qualcosa che non sempre ho potuto provare qui. Quando, ad esempio, a diciotto anni, volevo iniziare a lavorare come barista, non è stato facile trovare una occupazione. All’epoca, di posti che, nel weekend, cercavano personale extra c’è ne erano diversi. Girando, mi sono beccata diverse smorfie in risposta al mio “non ho esperienza”. Ci ho messo un bel po’ prima di trovare qualcuno che riponesse attenzione (e fiducia) nella restante parte del discorso di presentazione (“ho tanta voglia di fare e lavoro sodo”). Questo è il sesto anno consecutivo che faccio gli extra come barista in questa caffetteria del paese. Penso che la sua fiducia, evidentemente, sia stata ben ripagata. In realtà non solo la sua.
Il direttore dell’azienda dublinese, prima che ripartissi, mi ha comunicato che, una volta laureata alla magistrale, avrebbe voluto parlarmi della possibilità di lavorare con loro. Attualmente, in previsione del conseguimento del titolo verso la fine di quest’anno, mi è stato proposto, nel frattempo, un periodo di tirocinio pagato, nel periodo successivo alla sessione estiva degli esami e.. non è mia intenzione rinunciare!”.
La tua esperienza dublinese è stata possibile grazie al nostro essere europei. Avere la possibilità di poter viaggiare liberamente in tutto il continente, spendere la stessa moneta in molti stati, partecipare al progetto Erasmus, avere la possibilità di lavorare a Dublino, Monaco di Baviera ecc. ecc. sono figlie del “sogno” dei padri costituenti dell’Europa post bellica.
In questi giorni si parla tanto di Europa, di confini che si chiudono, di nazioni che vorrebbero uscirne mettendo così a rischio le conquiste fatte in tutti questi anni.
Ti spaventa l’idea che l’Europa perda questo tratto distintivo e valoriale?
“Certamente. Se non fossi stata cittadina europea, non avrei potuto fare nulla di tutto ciò che ho fatto sino ad oggi, non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche dal punto di vista culturale ed educativo. Sono una persona che viaggia spesso e so quanto siano importanti l’assenza di barriere doganali, la libera circolazione garantita dall’aquis di Shengen, che permettono a chiunque di spostarsi senza ostacolo alcuno. Non solo: gli scambi interculturali, il progetto Erasmus+, l’Erasmus Traineeship, il progetto Leonardo, le vacanze studio organizzate per i minori da alcuni enti nazionali e tanto altro ancora, sono tutti possibili solo grazie all’Unione.
Ulteriore aspetto fondamentale è che la cittadinanza europea garantisce un iter semplice e accelerato per chiunque voglia essere assunto nei territori dell’UE. Ho vissuto per dieci settimane a Londra e sei a Dublino, lavorando regolarmente come cameriera per nove nella prima e per cinque nella seconda (sì, anche durante il mio tirocinio in azienda a Dublino. Il fine settimana offre sempre buone prospettive per racimolare un po’ di soldi!)
Ecco perché si sente sempre meno, se non per niente, parlare del “sogno Americano”. Non c’è più bisogno di investire cifre esorbitanti di viaggio, per andar a cercar fortuna oltreoceano. A volte bastano anche meno di cinquanta euro. Il sogno è solo ad un’ora, due, tre massimo di volo da qui. E se la fortuna non la si trova, si ha sempre la possibilità di tornare comodamente (sempre in modo piuttosto economico) indietro. In Europa, oggi, rischiare, non costa letteralmente niente e se non si è soddisfatti della propria vita qui in Italia, lo garantisco, val la pena tentare!”.

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