Conversano – In fila al Petruzzelli per una lezione di storia; in fila al castello di Conversano per vedere la mostra di De Chirico. Sete di cultura, di sapere, di momenti aggregativi e discussione collettiva. Quando si crea l’offerta, si genera la domanda. E vedere quelle foto così evocative ci fa capire come il terreno della cultura è una nuova frontiera dell’impegno politico, oppure una vecchia idea in disuso e mai superata. La sete di luoghi di discussione, in assenza di quelli dei partiti e dei sindacati e con il più delle volte la cosiddetta “intellighenzia” asservita al potere, trova il suo alveo naturale nell’arte e nella storia, ancora una volta giunti in soccorso di donne e uomini in difficoltà nel vivere e apprezzare la contemporaneità. Siamo in Puglia dove l’esplosione della bellezza e, soprattutto, la maggiore consapevolezza della valenza dei propri luoghi e della propria storia ha innescato un meccanismo virtuoso e concorrenziale tra territori. Che se diventasse la norma, declinata allo spessore delle iniziative, cambierebbe il volto delle nostre città non solo nei mesi estivi ma per l’intero anno solare.
Le due fotografie, del Petruzzelli e del Castello di Conversano, ci riconsegnano una certezza: i decisori politici sanno che troveranno sempre pronti i cittadini, indigeni e non, a rispondere con la propria presenza e partecipazione ad ogni occasione laddove possa essere palpabile il pensiero e la cultura, l’arte e la storia.
Soprattutto nella nostra città, a Conversano, tutto ciò dovrebbe convincere l’amministrazione comunale che l’esempio da seguire c’è già e non è rappresentato da improbabili momenti di deturpazione dei luoghi e svilimento delle abitudini, da fumi di arrosti sparsi tra le narici dell’autoritratto di Paolo Finoglio e di Armida e i suoi cavalieri. Un progetto culturale capace di suscitare l’interesse dello “straniero” e del vicino di casa è quanto mai possibile oltre che sempre auspicabile. Aprire i luoghi del culto, girare la città in gruppi raccontando le gesta di chi questa città l’ha radicata nel tempo, consentire a chi ci visita di addomesticare il proprio palato in ristoranti e osterie finalmente aperti anche all’ora di pranzo. In poche parole: sbattere in faccia la bellezza di questo nostro luogo del quale tutti siamo innamorati, a volte non corrisposti.
Perché c’è la sensazione che, spesso, il nostro paese non accetti ciò che non riusciamo ad organizzargli o mal sopporti il peso delle scelte nefaste che lo deturpano. Mal sopporta la gestione che si è voluta dare alla raccolta dei rifiuti, mal sopporta di pagare per servizi che non riceve, mal sopporta l’abbandono di autobus pagati con i soldi di tutti e abbandonati al proprio destino, mal sopporta di dover sbattere la faccia contro ingombri stradali che inibiscono l’accesso a disabili a non, mal digerisce di dover assistere a fenomeni di connivenza sempre in direzione di chi più ha e più riesce ad ottenere.
Una città spaccata in due, dove la parte legata al dottor Jekill, quella razionale, propende purtroppo per il peggio e dove la parte affezionata a Mr. Hyde, quella più sregolata e fantasiosa, compie il delitto e sposa la qualità e la cultura. A ruoli invertiti. Per riportare il dottor Jekill e Mr. Hyde nei propri ruoli più naturali c’è bisogno di cambiare rotta. E mettersi in fila al Castello oppure al Petruzzelli. Per convincere tutti che anche con la cultura si mangia e che per cambiare un territorio è proprio da lì che bisogna ripartire. La cultura del governo e la cultura dell’organizzazione delle comunità.
Come dicevo qualche anno fa: “c’è da fare”.
Era ora !!!
Io starei ben attento a distinguere tra cultura ed intrattenimento culturale. Le due manifestazioni di cui si parla nell’editoriale appartengono a quest’ultima fattispecie (intrattenimento culturale). Mancano infatti di quella componente di emancipazione, educazione alla coscienza critica, che la cultura in quanto cultura posiede a pieno titolo. Se qualcuno non avesse ben chiara la distinzione, soprattutto per le arti pittoriche e decorative, consiglio la lettura dei libri di “intervento civile” di Tomaso Montanari (ad esempio “A che serve Michelangelo?” oppure “Privati del Patrimonio”), storico dell’arte dell’Università di Napoli.
Poi certo, per attirare turisti è bene movimentare la vita nei nostri comuni, naturalmente stando bene attenti a rispettare il “genius loci” (niente maleodoranti salsicciotti colanti olio e grasso nei luoghi in cui i nostri padri hanno costruito la bellezza, che noi abbiamo il dovere di rispettare e trasmettere integri ai nostri figli) ma anche in questo caso dobbiamo stare attenti a distinguere tra strategie al fine di incrementare il turismo e cultura.
Ciao Cesare, non ti nascondo che non riesco ad abbinare la visita ad una mostra, o ad una lezione di storia, ad un “intrattenimento culturale”. Se visito una mostra mi interrogo, leggo, studio, cerco di scovare i dettagli…mi emancipo.
Siamo d’accordo sicuramente con la lettura dei libri di Tommaso Montanari che mi piace molto.
Avrei molto da dire, invece, sulle modalità organizzative di questi eventi. Ma ci sarà tempo e spazio per parlarne.
Caro Gianluigi, a me sembra (naturalmente: non possiedo nessuna verità e quindi posso anche sbagliarmi) che in quelloche scrivi nel tuo ultimo post ci siano due diverse questioni. Come giustamente scrivi una cosa è visitare una mostra o seguire una conferenza, altra cosa sono le conseguenze, interrogarsi, leggere, cercare di scovare i dettagli, ecc. Se cultura è educazione alla coscienza critica, cultura sono le conseguenze, mentre visitare la mostra o seguire la conferenza è, al massimo, stimolo. Ma qui entra in gioco la variabile personale: se fruisco della mostra solo in maniera estetica, emotiva, faccio una esperienza di quel tipo, estico-emotiva, che termina lì e non ha nessun valore culturale, il tutto si riduce per l’appunto ad intrattenimento culturale.
Ma vi è poi un’altra, forse più importante questione: non tutte le mostre o le conferenze sono costruite per permettere una fruizione non solo di intrattenimento. Solo alcune, importanti, mostre sono scientifiche e quindi hanno valore culturale: per permettere una vera conoscenza di un’opera d’arte bisogna pazientemente, da parte degli organizzatori e con anni di studio sulle spalle, ricostruirne il contesto storico ed artistico di essa, e cioè la rete di rapporti figurativi che le danno senso. Questo richiede veri esperti come ideatori della mostra ed un comitato scientifico terzo, non scelto o costituito anche solo in parte da chi ha ideato ed organizzato la mostra, che controlli l’operato degli ideatori ed organizzatori. Solo così la mostra permette ai fruitori più consapevoli di fare un’esperienza veramente culturale. Se no si cade nella parodia del sacro: l’ostensione dell’immagine miracolosa che favorisce il contatto con l’oggetto taumaturgico. E questo è tutto dire.
Un ultima cosa, Montanari si chiama Tomaso, con una emme, e non Tommaso. Un caro saluto.
In effetti io mi riferivo al fatto che quando devo visitare una mostra, o seguire una lezione di storia, dedico alla fase precedente l’approfondimento e lo studio, oltre che la mia curiosità.
Quanto all’organizzazione delle mostre. o delle lezioni di storia, avrei tante cose da dire e alcune, a giugno scorso, le ho già dette, rimanendo voce unica, sulle modalità organizzative. Purtroppo nel silenzio anche di chi evidentemente, per sano opportunismo, non voleva sembrare “disturbante” nei confronti del potere. Una pratica che sta contagiando tanti nella nostra città.
Detto ciò, ti ringrazio per la precisazione su Tom(m)aso Montanari. E’ come dici tu. Solo il nostro dialetto avrebbe superato la mia imprecisione: ‘Tomasin’ , e avrebbero capito tutti. Un caro saluto