E’ stato talmente forte l’impatto con la morte di Paola Manchisi, la ragazza di soli 31 anni di Polignano a Mare, che non è facile e nemmeno giusto tornare alla propria quotidianità. Una quotidianità che ti fa dimenticare ciò che è successo ad altri e che sembra non interessarti. E invece ti accorgi che ti coinvolge e ti rende responsabile insieme a tutti di una morte annunciata da qualcuno e tenuta nascosta dalla protagonista. Che non poteva forse chiedere più aiuto a nessuno e che aveva assaporato la vita “normale” dalla quale era riuscita a staccarsi e non sapremo mai il perchè. Amica con amiche in giro per la città fino alla sfrontatezza dei propri sedici anni e poi il buio. Un buio calato in una persona che esistita fino ad allora ha smesso di esistere per gli altri. Non tutti fortunatamente, se si deve alla tenacia di qualche amica più di una segnalazione e più di una semplice voglia di rivederla in viso dopo anni. Gli anni dell’oblio, quelli sconosciuti e quelli forse per sempre impenetrabili.
L’episodio è successo a Polignano a Mare, ma poco importa. Il luogo è comunque il nostro territorio relazionale più vasto e da sempre ci sentiamo così vicini a quella comunità da assumerne quasi la volontà di appartenervi a pieno titolo. Una città turistica, sede di notissimi punti di ristoro oltre che di bellezze naturali e squisiti abitanti. Un luogo dove ogni giorno dell’anno vengono accolti con simpatia migliaia di visitatori che stazionano nelle meravigliose spiagge e nelle straordinarie vie che si affacciano sul mare più bello del mondo. Perchè per tutti noi è così. E chissà quanti sono stati quei turisti che negli ultimi quindici anni sono passati a qualche metro dalla casa di Paola. Mentre lei continuava ad essere sola e non gridava a nessuno il suo disagio, la sua rabbia e la sua voglia di continuare a vivere. Perchè non è possibile che che pur in condizioni così difficili non ci sia nemmeno un attimo in cui ognuno di noi dica: “io voglio vivere, camminare e respirare”.
E chissà quante volte noi stessi siamo passati da casa di Paola perchè diretti al cinema o perchè proiettati verso passeggiate salutari. E anche noi non abbiamo alzato lo sguardo perchè non sapevamo.
Ed è questo il punto: la comunità non può non sapere. I medici di famiglia sanno, i servizi sociali anche, la ASL sicuramente. Ma a che serve additare responsabili specifici se una ragazza di 31 anni è stata dimenticata da quasi tutti e la quotidianità ha prevalso sull’eccezionalità di quella solitudine? Quanti portoni vanno sventrati per accedere in stanze della disperazione di famiglie silenti e che trascinano la propria vita fino al suo esaurimento tragico o naturale che sia?
Si sventrino porte, finestre e portoni. E’ il mestiere di chi avrebbe dovuto farlo e non l’ha fatto. Ma facciamoci un appello, facciamolo a tutti noi. Promettiamoci di parlare dei nostri problemi con chiunque capiti ai pimi sentori, alle primissime avvisaglie. Recuperiamo il senso di comunità e di solidarietà. Affinchè i portoni come quello di Paola possano essere abbattuti dalla conoscenza e dalla voglia di amare gli altri. Paola aveva solo 31 anni.
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