In solis sis tibi turba locis [ Nei luoghi solitari sii a te stesso una folla ] (Tibullo, Elegiae)

Grande fu la mia sorpresa, dopo aver vinto un torneo di scacchi a Cisternino nel ’98, di ricevere come premio, assieme al trofeo di prammatica, anche un piccolo libro, che conservo gelosamente: “La torre del filosofo”, di Montaigne.

Il pensatore francese del ‘500, Michel de Montaigne visse parte significativa della sua vita chiuso nella celebre torre alta sulla collina, facente parte del castello ove abitava. In quella torre vi era solo una poltrona, un tavolo, e migliaia di libri di autori classici. Le frasi più significative che leggeva, amava addirittura inciderle sulle travi di quell’angusto ambiente, sì che potesse rammentarle in ogni momento.

Nel capitoletto dedicato alla solitudine, il filosofo francese cita la frase di Tibullo oggi proposta, che sono certo facesse parte di quelle che incise sul legno.

In questi tempi di pandemia, di confinamento e di coprifuoco notturno, credo sia importante seguire l’insegnamento tibulliano di provare ad essere una folla anche se ci troviamo in piena solitudine. Si diventa una folla attraverso il pensiero attivo, attraverso l’immaginazione, attraverso interessi stimolanti, attraverso la cultura, l’arte e la musica. In questo modo si può trasformare la cattività in creatività.

Certo, non posso negare che la mancanza di contatto fisico e di socializzazione sia un problema serio, sentito soprattutto in ambito scolastico, dove la didattica a distanza sta mettendo da mesi a dura prova studenti e insegnanti, vogliosi di tornare ad essere fisicamente in classe.

Il latino e la scuola in presenza mi rimandano direttamente alla figura del mio insegnante di Italiano e Latino, il prof. Pietro De Filippis. Originario dell’Irpinia ma naturalizzato conversanese, ha insegnato per tanti anni al liceo scientifico “Sante Simone”, la scuola superiore ove ho studiato.

Dei mille ricordi legati a quel periodo ne voglio citare uno.

 Eravamo in classe, credo fosse marzo, verso mezzogiorno e attendavamo ansiosi che venissero ufficializzate le quattro materie oggetto della prova orale dell’esame di maturità. Eravamo al nostro ultimo ultimo anno di scuola, il 1977. All’epoca non esisteva il personal computer e non esisteva internet. Qualcuno dotato di spirito di iniziativa portò una radiolina a batterie. Avremmo potuto ascoltare in diretta dal ministero l’annuncio delle materie. Incidentalmente eravamo nell’ora di italiano. Il professore, giunta l’ora, ci concesse tranquillamente di accendere la radiolina e ascoltare il verdetto. E che verdetto! Per la prima (che poi sarebbe divenuta anche ultima) volta nell’esperienza dell’esame di maturità scientifica venne scelta a sorpresa, tra le quattro materie da cui scegliere le due per il colloquio, il latino.

In classe scoppiò il putiferio, tra chi ebbe una crisi di pianto, chi si imbufalì e chi (pochi in realtà) finì con lo scherzarci rumorosamente sopra.

Ci pensò lui, il nostro professore, a calmare gli animi. Ci ricordò di non aver mai voluto trascurare il latino anche se eravamo prossimi agli esami, e che tale approccio ci avrebbe consentito di superare questo momento di sorpresa. E così fu. Gli esami andarono bene, compresi gli orali di latino.

 Voglio ricordare con un ultimo episodio il prof. Pietro De Filippis, scomparso da pochi anni. Fu allorquando lesse in classe, recitandola brillantemente in dialetto napoletano, la famosa e bellissima poesia di Totò “ ’A livella”. Ridemmo tutti – in presenza – , diventando folla partecipe e compiaciuta, quando arrivò al momento in cui disse:

“e si perdo ‘a pacienza, mme scordo ca so’ muorto e so mazzate!…”.

 Lui, il nostro prof., con noi la sua immensa pazienza non la perse mai.

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