A colloquio con un imprenditore, un operatore agricolo e un tecnico della sicurezza
Conversano – Luana era bella, giovane, aveva tutta la vita davanti a sé. Luana adesso è un numero inserito nelle fredde statistiche dell’INAIL. Secondo i dati che ci fornisce l’INAIL, nei primi tre mesi del 2021 sono state denunciate 185 morti sul lavoro, 19 in più del 2020. Le stesse statistiche ci ricordano che negli ultimi 5 anni sono morti sul lavoro mediamente più di 1000 persone l’anno e che negli ultimi 10 anni si è assistito ad un aumento degli infortuni sul lavoro con esito infausto. I numeri, si sa, non hanno un’anima e quindi non ci dicono niente sul dolore che queste morti generano, sui corpi straziati di quei poveri operai che sono stati risucchiati dalle macchine. Prima dell’incidente di Luana non sapevo cosa fosse un orditoio; solo dopo ho letto che è una macchina che serve alla preparazione dell’ordito (insieme dei fili destinati a formare la lunghezza del tessuto), composto da una rastrelliera e da un cilindro. Capito!!!! Il corpo di Luana è passato attraverso una rastrelliera provocandole lo schiacciamento della gabbia toracica e la morte.
Da anni ormai si parla di sicurezza sul lavoro come un’emergenza; fu Napolitano nel 2008 a pretendere una legge che tutelasse i lavoratori ed infatti arrivò il D.Lgs 81/2008.
Per capire qual è la situazione e come viene applicato il decreto legislativo 81/08, e il successivo 106 del 2009, abbiamo posto alcune domande ad attori che a vario titolo devono far applicare o devono applicare le norme necessarie a tutelare la sicurezza del lavoratore o di sé stessi.
Giuseppe Pedote, presidente di Dolciaria Ambrosiana srl. La sicurezza sul lavoro ha un costo, sono state messe in atto politiche che aiutano le imprese a sostenere i costi?
Attualmente il costo della sicurezza sul lavoro ha una un peso importante sui bilanci, che grava purtroppo completamente sulle aziende.
Quanto investite in sicurezza?
Investire oggi sulla sicurezza non significa solo consegnare i DPI ma formare il dipendente ovvero renderlo consapevole di quanto possa essere rischioso bypassare i sistemi di sicurezza.
Dopo gli ultimi incidenti sul lavoro si è cominciato a parlare con una certa insistenza di irregolarità legate all’eliminazione dei sistemi di sicurezza delle macchine. Se queste voci sono confermate vuol dire che si antepone il profitto alla salute. Cosa ne pensi?
Quello che è sotto i riflettori oggi è solo la punta dell’iceberg di una situazione che va avanti così da anni, basti vedere i dati Inail legati agli infortuni sul lavoro. Inoltre, vorrei spezzare una lancia a favore degli imprenditori, che purtroppo non possono essere dovunque a tutelare il dipendente che volutamente rimuove i sistemi di sicurezza per facilitare il lavoro e renderlo più snello. Se volessimo parlare di profitto, bisognerebbe sempre ragionare nei termini di “Quanto costa un infortunio sul lavoro?”
Com’è il rapporto con i dipendenti su questi argomenti?
Gli anni investiti sulla formazione hanno portato i loro frutti, grazie anche all’aiuto dei professionisti di cui ci avvaliamo che istruiscono i nuovi assunti e aggiornano gli altri. Ci tengo molto alla formazione dei miei dipendenti perché credo sia importante che un’azione venga fatta non perché imposta ma perché ciascuno sia consapevole delle possibili conseguenze delle omissioni legate alla sicurezza.
Nicola Valenzano è un operatore agricolo. Nicola, la sicurezza sul lavoro in agricoltura viene applicata?
No, però bisogna considerare che ci sono tanti lavori in agricoltura come tirare le foglie, zappare in cui non ha senso parlare di sicurezza sul lavoro. Quando invece si parla di lavori particolari, come mettere i teli o costruire i tendoni, la sicurezza sul lavoro è un aspetto fondamentale anche se non viene applicata.
Dai dipendenti, soprattutto i più anziani, com’è vista la sicurezza sul lavoro?
Non c’è differenza: sia i giovani che gli anziani lavorano ancora un po’ superficialmente, anche se questi argomenti in maniera molto embrionale cominciano a far parte della routine lavorativa, ma come ho detto molto dipende dal tipo di lavoro svolto.
Si può migliorare l’attuale situazione lavorativa? Come?
Certamente si può e si deve migliorare, torno a dire che bisogna agire su quei lavori particolarmente rischiosi, che non sono molti, ed intervenire con misure efficaci.
Domenico Di Bello è un tecnico della prevenzione in servizio presso lo SPESAL (Servizio Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro). Domenico, secondo te esiste la cultura della sicurezza sul lavoro in Italia? Da noi in Puglia a che punto siamo?
Si, certo! Ovviamente sia a livello nazionale che sul nostro territorio regionale. Il processo di crescita della cultura e della sua diffusione è stato graduale, considerando il fatto che le norme legislative sono state attuate ormai da quasi 30 anni circa, esattamente dal 1994 con l’ingresso del Decreto legislativo n. 626, successivamente “rafforzato” dal D.Lgs n.81 del 2008 e del 106 del 2009. Ma devo puntualizzare una cosa: i risultati si riscontrano maggiormente nelle grandi realtà, mi riferisco alle grandi aziende. Per le piccole e medie imprese purtroppo le cose non vanno così bene, in parte per la superficialità dei titolari/dirigenti/preposti, stessa superficialità che mostrano parte dei dipendenti. A livello politico-economico le aziende sono soffocate dal carico fiscale legato alle assunzioni, all’assenza di finanziamenti che permettono l’acquisto di nuove attrezzature/apparecchiature che contribuiscono alla riduzione del rischio infortunio o della malattia professionale. Alla base vi è sempre il discorso economico, questo perché il titolare è il soggetto che ha il potere decisionale e di spesa e se l’azienda fatica a rimanere a galla tanto meno è intenzionata a dirottare parte delle finanze sul tema della sicurezza ivi compresi i costi della formazione, informazione, addestramento del personale. Si aggiunge anche la presenza sempre crescente di prodotti importati che sfiancano il mercato interno a costi ben più bassi e non sempre certificati CE (es. mascherine, Dpi,); stesso discorso vale anche per altri settori come per esempio il settore agricolo (prodotti provenienti dalla Turchia, dalla Spagna…) che non fanno altro che mettere in ginocchio le ditte locali! Il tutto a cosa ci porta? Per esempio ad ingaggiare personale dipendente illegalmente cioè senza formazione, senza visite mediche, senza addestramento a differenza delle grandi aziende che non hanno nessun problema perché sono in grado di sopportare le spese puntando sulla formazione del personale dipendente, risorse varie, mezzi e attrezzature presenti nel ciclo lavorativo e di conseguenza un prodotto qualitativamente alto con una manodopera sana e integra. Chiaramente faccio presente che la cultura viene stimolata quotidianamente anche per il nostro grande impegno, essendo membro di un nucleo operativo di vigilanza, lo SPESAL. Impegno che si traduce in attività incessante di ispezioni nei cantieri edili, nelle aziende del comparto metalmeccanico per la presenza dei rischi chimici-cancerogeni, nella rimozione dell’amianto sul territorio, nella prevenzione dei rischi derivanti dalla movimentazione dei carichi che comportano danni all’apparato muscolo-scheletrico, nella prevenzione dei rischi in agricoltura, nell’attività di monitoraggio, ausilio e prevenzione di malattie professionali, comprese alcune forme di tumore. A tutto ciò si aggiunge l’attività di Polizia Giudiziaria per esposti e deleghe assegnate dalla Procura.
Quale situazione di maggior criticità ricordi?
Come ho dichiarato prima, le maggiori criticità le ho riscontrate controllando le piccole ditte, soprattutto nel settore agricolo, che operano con mezzi datati, non più sicuri come le trattrici e le varie attrezzature in dotazione che causano morti e infortuni gravi. Ma per criticità intendo anche la gestione e organizzazione del lavoro. Queste criticità si possono contrastare solo con una valida formazione e addestramento e qui ritengo che un ruolo fondamentale devono assumerlo i consulenti, sia della sicurezza (personalmente ci ho sempre creduto e ho svolto questa professione per più di 10 anni) che i consulenti del lavoro i quali, prima di procedere con le assunzioni, devono pretendere la formazione di base e il giudizio di idoneità. Dulcis in fundo, servono volontà e coraggio di denunciare i casi in cui ci si trova nelle condizioni di essere minacciati dai propri titolari o referenti aziendali per la mancanza o l’inadeguatezza delle misure di prevenzione e protezione durante i processi lavorativi (DPI, mezzi, attrezzature, sostanze, opere provvisionali ).
Dopo aver ascoltato le risposte dei nostri interlocutori, possiamo dire che questa assurda strage si può evitare contrastando le pratiche illegali come la tendenza a bypassare i sistemi di sicurezza delle macchine industriali per accelerare il lavoro e renderlo più snello; ho scoperto che per eliminare il sistema di blocco a sportello, cioè aprire lo sportello dell’apparecchiature per farla bloccare, basta procurarsi uno spinotto magnetico.
Alle pratiche repressive, però, è fondamentale associare pratiche positive come la formazione perché la creazione di personale consapevole del rischio sul lavoro aiuta a migliorare le condizioni lavorative e ad abbassare se non eliminare definitivamente le morti sul lavoro, anche perché in una repubblica dove il lavoro è inserito nel articolo 1 della sua costituzione che cita testualmente: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” continuare ad avere morti sul lavoro è un assurdo ossimoro.
Giuseppe Pedote nelle sue risposte ci ha chiesto se eravamo a conoscenza del costo a carico della collettività di un infortunio sul lavoro. Ogni infortunio o malattia professionale in Italia costa circa 55.000 € cioè 4667 € per ciascun lavoratore occupato.
Il dato più sconcertante, però, non è quello economico ma le ripercussioni che si hanno sull’intera collettività. Ripercussioni che causano costi diretti e costi indiretti. Con costi diretti intendiamo: costi medici per l’infortunato, integrazione dei salari per la quota coperta dalle assicurazioni, danni subiti dai mezzi di produzione, valore della produzione per le interruzioni causate da incidenti, eventuale perdita di produttività del lavoratore infortunato dopo il suo ritorno al lavoro.
Quando parliamo di costi indiretti invece intendiamo: costi scioperi o riduzione della produttività della forza lavoro dovuta all’elevata frequenza degli infortuni, costi degli straordinari necessari a recuperare il tempo perso a seguito dell’incidente e dell’assenza dei lavoratori infortunati, costo delle attività di indagine, compilazione di verbali e rapporti con le autorità di control costi di retraining e di recruiting nel caso in cui ai lavoratori venga modificata la mansione a causa dell’elevato turnover del personale che sempre si verifica in ambienti poco sicuri.
Ma il costo più insopportabile è quello degli infortuni o della perdita di vite umane. Nella repubblica in cui la Costituzione comincia proprio dal lavoro.