Sua madre questa religione della roba la testimoniava non ammettendo che si buttasse via il pane raffermo, il cibo che restava nel piatto, la frutta che cominciava ad andare a male. (Leonardo Sciascia, A CIASCUNO IL SUO)

Leonardo Sciascia è un autore che non va dimenticato. I suoi romanzi sono un continuo atto di accusa per le malefatte nella sua regione, la Sicilia, ma sono anche una fotografia del nostro Sud che non è affatto sbiadita.

 Dal suo libro “A ciascuno il suo”, un romanzo bello e amaro, è tratta questa frase in cui di sicuro molti della generazione dei nostri padri o dei nostri nonni, ossia coloro che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale e il periodo post bellico, si riconosceranno.

Prima dell’avvento del consumismo vi era un’attenzione salubre a non gettare con disinvoltura cose e alimenti. I rifiuti pertanto erano davvero pochi. Ricordo che i miei genitori mi parlavano del fatto che subito dopo la guerra nel mio paese girava solo un netturbino.

Poi tutto è cambiato. Si è cominciato a comprare e a gettare con un atteggiamento spropositato che ha dimenticato la cosa più importante: l’attenzione verso l’ambiente. Ricordo che negli anni Sessanta ci fu l’esplosione della plastica. Sembrò una vera e propria rivoluzione benefica. Si decantava la durata pressoché eterna dei nuovi oggetti plastificati. Ora invece si scopre che questa longevità è sinonimo di inquinamento. La grande “isola” di plastica che si è formata nel bel mezzo dell’oceano Pacifico, di grandezza molto superiore alla nostra nazione, è un monito per le generazioni future.

Prima di gettare qualcosa, dunque, dobbiamo pensarci sopra e guardare alle implicazioni che tale gesto comporta. Verso il nostro pianeta, e, di converso, verso l’umanità. Così facendo si andrebbe incontro al seguente suggerimento dell’artista Andy Warhol che ebbe a dire quanto segue:

“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.”

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