La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte. (Omar Khayyām)

Scrivere questo “sassolino” mentre sono a Parma, capitale italiana della cultura 2020-2021, non poteva non rimandarmi al tema del viaggio.

Nell’anno dantesco mi viene immediatamente in mente il suo Ulisse che nel suo ultimo meraviglioso viaggio si spinge fin oltre le colonne d’Ercole “per seguir virtute e canoscenza”.

Viaggiare, dunque, per ampliare la propria conoscenza, anche al rischio di affrontare l’ignoto, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Ma essendo la vita stessa un viaggio, che noi facciamo ponendoci e riponendoci le tre domande fondamentali che non hanno risposta – chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? – ecco che ogni volta che viaggiamo, dice il poeta persiano della citazione, viviamo una doppia vita.

Del viaggio sono belle tutte le sue fasi e le sue tappe, ma particolarmente intrigante è sempre la partenza, con il suo enorme carico di aspettative. Chi è riuscito meglio di tutti ad esprimere questo momento è stato lo scrittore Franz Kafka, con il suo folgorante e metafisico raccontino, che si intitola giustappunto “La partenza”:

«Ordinai di andare a prendere il mio cavallo dalla stalla. Il servo non mi capì. Andai io stesso nella stalla, sellai il mio cavallo e vi montai. In lontananza sentii soffiare una tromba, chiesi al servo che cosa volesse dire. Egli non lo sapeva e non aveva sentito niente. Presso il portone mi trattenne e domandò: “Signore, dove vai?”. “Non lo so”, dissi, “Solo via di qui, solo via di qui. Sempre via di qui, solo così posso raggiungere la mia meta”. “Conosci allora la tua meta?”, chiese. “Sì”, risposi, “io l’ho detto: ‘via-di-qui, è la mia meta”. “Non hai viveri con te”, disse. “Io non ne ho bisogno”, dissi, “il viaggio è così lungo, che dovrò morire di fame, se non ricevo nulla sulla via. Nessuna provvista mi può salvare. Per fortuna è veramente un viaggio immenso”.»

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