Non bisogna mai fare un uso per così dire esibizionistico degli effetti speciali, sintomo e causa della malattia senile che minaccia di fare di Hollywood un Paese dei balocchi per dodicenni di ogni età. (Roberto Escobar, filosofo e critico cinematografico)

Si è da poco inaugurata la Mostra del Cinema di Venezia, uno degli avamposti più importanti del cinema d’autore. Assieme a Cannes, alla Berlinale, a Locarno, al Sundance Festival, fino al nostro Bif&st barese, e con pochi altri festival minori, essi si contrappongono tutti in maniera fiera allo strapotere della macchina hollywoodiana che ha nella serata degli Oscar il suo clou.

La settima arte corre sempre il rischio di asservirsi alla logica dello spettacolo più che a quella dell’opera d’arte.

Nella mia lunga esperienza scolastica ho sempre cercato di far vedere, con cadenza mensile, ai miei studenti, dei film che avessero una rilevanza storica, sociale, culturale e poetica tale da indurre i ragazzi alla riflessione.

Ricordo che prima di avere a disposizione una sala di proiezione attrezzata, noi del corso serale andavamo al cinema. Approfittavo delle rassegne che Piero Montefusco – ora residente a Conversano – realizzava sapientemente al cinema Socrate di Castellana e andavamo in quella sala. Film come “Schindler’s list”, “Il partigiano Johnny”, “Monsoon wedding”, “La generazione rubata” sono rimasti nella memoria di chi li ha visti e di chi li ha proposti.

Seguivano discussioni, anche in classe, ma l’apprezzamento era sempre evidente, ad indicare che non è detto che un film d’autore debba essere necessariamente noioso.

Ci sarebbe da andare indietro negli anni, quando i cineforum degli anni Settanta erano seguiti liberamente e con entusiasmo da centinaia e centinaia di giovani, in ossequio a quella canzone di Gaber che diceva che la libertà è partecipazione.

Oggi si deve cercare di scongiurare il torpore del cinema fatto di molti effetti e pochi affetti speciali.

Solo così si può capire appieno la seguente frase del grande regista neorealista Roberto Rossellini:

“La cinepresa è uno spregevole meccanismo. Quello che conta è la poesia.”

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