E i miei figli che non sono nati mi inseguono. (Federico García Lorca)

Il calo demografico della nostra nazione, che va di pari passo con quello di molte sue consorelle occidentali, è uno dei problemi cruciali del nostro tempo. Ne sono coinvolte tutte le società cosiddette avanzate. Le implicazioni più rilevanti dell’invecchiamento di una nazione vanno dai problemi di gestione – brutta parola – degli anziani a quelli del ricambio della forza lavorativa, fino ad uno sbilanciamento tra le fasce di età che ha impatti anche sulle pensioni future.

Ma consentitemi di dire che il primo problema è il livello di felicità. Chi appartiene alla mia generazione sa che fino agli anni del boom economico le famiglie erano numerose ed erano un brulichio di marmocchi che illuminavano la casa e gli occhi non solo dei genitori ma anche e soprattutto dei nonni che creavano una relazione privilegiata con i nipoti.

Oggi le cose non sono più tali ed è una buona notizia quella recente di misure di sostegno governativo alle coppie che mettono al mondo dei figli.

I poeti hanno la capacità miracolosa di riuscire in poche parole ad esprimere le profondità del cuore dell’uomo e la mancata maternità o paternità è uno degli abissi più profondi che un uomo o una donna possono portarsi dentro per anni o per tutta la vita.

C’è qualcosa che non va nell’organizzazione della vita attuale. Va ripensata cercando di porre al suo centro valori fondamentali. E mettere al mondo dei figli e garantir loro un futuro è certamente uno di questi.

Altrimenti il grigiore di una società triste ci avvolgerà e saranno sempre più numerosi i lamenti di chi non ha figli, come il seguente pensiero della poetessa Antonia Pozzi, tratto dal suo diario:

“Tortura è stata la mia maternità immaginaria, valida fino a che ci fu al mio fianco un essere che condivideva questo anelito di salvazione di una vita in un’altra vita, valida finché fu non illusione, ma speranza, e speranza di bene non soltanto per me; ma quando si riconobbe illusione e divenne soltanto dolore mio, si isterilì, si schematizzò. Feci del mio dolore un’astrazione, un’armatura su cui appoggiare, scaricare la responsabilità della mia vita.”

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