Dalla rivoluzione galileiana, col suo metodo empirico sperimentale, la scienza dal Seicento ad oggi ha fatto dei progressi eccezionali, arrivando sia a guardare all’infinitamente grande, tra le galassie in espansione, e sia negli spazi infinitesimi, scoprendo che l’atomo non è quel mattoncino elementare non ulteriormente scomponibile, così come lo aveva preconizzato il filosofo Democrito, ma è composto di protoni, elettroni e neutroni. E poi quark, neutrini, e così via. Fino alla teoria delle stringhe, ove dovrebbero avvenire le vibrazioni fondamentali da cui tutto parte.
Negli spazi interstellari ci sono invece le stelle, supernove, pulsar, i pianeti, gli asteroidi, le comete, i buchi neri.
Insomma, solo a limitarsi alla fisica, abbiamo davvero accresciuto le nostre conoscenze fino a limiti davvero inimmaginabili.
Eppure non dobbiamo mai dimenticare che la saggezza socratica deriva dal sapere di non sapere, e che quello che finora sappiamo è nulla rispetto a ciò che ci è davanti. A partire dalla materia oscura.
Ma per quanto avanti si possa andare, sono fortemente convinto che l’uomo non riuscirà mai a dare risposte definitive alle tre domande fondamentali: “Chi siamo?”, “Da dove veniamo?” e “Dove andiamo?”.
Io sono anzi fermamente convinto che di fronte al mistero dell’esistenza l’uomo contemporaneo – super tecnologico – non sia messo meglio rispetto all’uomo dell’età della pietra. Né meglio né peggio. Vedo l’umanità tutta, passata, presente e futura, attonita di fronte a quel nulla dal quale, come un coniglio dal cilindro, si è passati al tutto. Ma di quel nulla, come ci ricorda Valery, non dobbiamo mai dimenticarci. Perché il suo continuo trasparire rinnoverà per sempre le domande, senza risposta, che continueremo a porci.