E’ di una settimana fa la notizia dell’esclusione di Conversano dalle dieci finaliste che si contenderanno il titolo di Città Italiana della Cultura 2024. Non c’è Conversano ma c’è l’altra città pugliese, Mesagne, con il suo dossier “Umana Meraviglia“.
E’ inutile girare intorno al problema, la delusione è forte per tutti perché, a parte coloro che non sono mai contenti di nulla, in molti ci avevano creduto. Almeno quella parte di città, poca purtroppo, che si era mostrata interessata e aveva capito l’importanza dell’opportunità che ci si presentava. Le competizioni, si sa, prevedono vittoriosi e vinti. Noi siamo i vinti, ne dobbiamo prendere atto ma non è un dramma.
Ci sono alcuni aspetti positivi da considerare a partire dall’amministrazione comunale che ha voluto partecipare alla competizione mettendosi in gioco, finalmente, su qualcosa che è tanto di più dell’organizzazione di un evento. Ha voluto alzare l’asticella, ha voluto guardare oltre il già visto. Non è andata bene e adesso ci sono tutti gli elementi per fare una generale considerazione su qual è la strada giusta da imboccare per non tornare indietro negli anni. L’ambizione di vedere la propria città capitale della cultura, appartiene a quell’orgoglio tutto nostro che crediamo di essere nelle condizioni di primeggiare per definizione. Questo intoppo, questa prova, ci manda un messaggio chiaro: non basta dirci da soli di essere i migliori, di avere i monumenti più belli del mondo, di avere il centro storico più grande di tutti, di avere le scuole più famose della regione (anche se le abbiamo tenute ai margini del processo), di avere tra i propri abitanti straordinarie risorse umane di cui si parla in Europa. Tutto ciò non ci basta e non è bastato. Il salto di qualità ha bisogno di altri grandi sforzi e, soprattutto, di una sana autocritica collettiva. Senza piangersi addosso ma con la consapevolezza di tornare con i piedi sulla terra e ricominciare un percorso nuovo, caratterizzato dalla messa in discussione di alcuni paradigmi che immaginiamo siano eterni e, invece, non lo sono affatto.
Del lavoro e del dossier presentato ci sono cose che mi sono piaciute e altre che, invece, non ho condiviso. La scelta dei componenti del comitato promotore penso sia stata troppo incentrata su criteri “amicali” più che di strategia e di apertura verso altri mondi. Nessun rilievo da fare sulle persone e sui profili personali e professionali, ma non si è mai avuta l’impressione di un gruppo che potesse imprimere una traccia, un solco nel quale innestare l’idea madre che avrebbe dovuto accompagnare la proposta della città. Ancora adesso mi chiedo quale fosse l’idea da trasmettere al Ministero e il perché la nostra città si è candidata a capitale della cultura 2024. Lo stesso claim “Un’altra dimensione della cultura” divergeva per messaggio e capacità di sintetizzare una suggestione da quello di Procida, per esempio. “La Cultura non isola“, il claim dei procidani, da sola valeva una proiezione che teneva conto del luogo, l’isola, e del ruolo della cultura come forza capace di interrompere l’isolamento. Non sono fatti secondari.
Ma c’è anche del buono nel dossier di Conversano ed è il frutto del lavoro di chi ci ha messo l’anima. Dare un ruolo alle bande, alla cultura ormai bicentenaria, alla capacità di farne bene immateriale fondamentale nel Mezzogiorno d’Italia, tirare dentro questo processo uno dei musicisti più rinomati come Pino Minafra, o evocare Riccardo Muti come possibile testimonial , è stato un atto di cui va dato merito al comitato o a chi ci ha lavorato.
C’è chi dice che la bocciatura sia un flop clamoroso, c’è chi sostiene al contrario che Conversano abbia comunque vinto. Nessuna delle due cose è vera. Prendiamo il meglio, mettiamo a valore i nuovi rapporti che si sono creati, invitiamo il comitato promotore ad allargarsi ad altre forze con un criterio più mirato, diamo dignità al lavoro comunque fatto e cambiamo pagina. L’errore più grosso che si possa fare è tonare indietro, alle vecchie pratiche. L’aver alzato l’asticella, pur avendo registrato un mancato successo, è un atto di coraggio. Bisogna alzarla ancora di più e ritrovare quell’umiltà perduta da troppi anni, direi un ventennio.
In giro ci sono peones che blaterano di sconfitte e di vittorie. Al netto di queste esternazioni, io mi aspetterei una ferma presa di posizione del comitato promotore per continuare nell’opera intrapresa, cercando di eliminare le criticità riscontrate. E mi aspetterei che l’amministrazione comunale rassicurasse tutti sul livello dell’asticella da guardare sempre più in su. Per una volta cerchiamo di andare alla ricerca della maturità e dei pregi di tutti. E’ più semplice di quanto si possa immaginare.

Analisi giusta, non partendo dalla sconfitta ma sul da farsi, credo però che l’equilibrio dei punti di forza e i punti di debolezza della nostra città e del nostro territorio non sono stati studiati attentamente, si è data l’immagine del salotto buono con la polvere/immondizia sotto il tappeto. Lo sviluppo di questo comune da 20 anni è disordinato, infatti qual’è la nostra economia trainante e quella trainata? A parte la lungimiranza di pochi e lo studio analitico delle nostre risorse storiche lasciate in eredità da grandi personalità che hanno vissuto nella nostra città, l’unicum dove è emerso? Eppure quell’equilibrio mancante si può sempre trovare mettendo da parte la spocchia di chi ha fatto soldi, soldi con astuzia magari avendo l’idea del business ma totalmente divergente con la storia e la cultura della città.