Lo scrittore Marcello Marchesi è ricordato soprattutto per essere stato un grande autore umoristico di trasmissioni di varietà negli anni d’oro della televisione italiana. La frase su citata sarebbe stata perfetta come suo epitaffio. Marchesi infatti morì nel 1978 all’età di 66 anni, quand’era in vacanza in Sardegna. Mentre nuotava fu sbalzato da una forte onda contro uno scoglio. Dopo aver sbattuto la testa, annegò. La morte lo colse vivo… Ma la frase paradossale da lui scritta ha ben altro significato. Più profondo. Si riferisce all’auspicio che una persona abbia una vita vissuta intensamente dal primo all’ultimo minuto.
In questi giorni è tornata in auge la delicatissima questione del fine vita, che, comunque la si pensi, è strettamente legata proprio alla qualità, e, direi, alla dignità della vita medesima. La questione è molto spinosa, ma nell’affrontarla si dovrebbe a mio avviso rimuovere tare di varia natura. La vita deve essere vissuta pienamente e nel dir questo intendo dire che c’è anche un forte margine di soggettività, che va compresa e rispettata. Per esempio il grande esploratore Ambrogio Fogar, le cui avventure estreme carpirono l’attenzione dei media negli a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso – compresa una in cui fu salvato in fin di vita dopo un naufragio in canotto nell’oceano -, subì nel 1992 un terribile incidente a seguito del quale si fratturò la seconda vertebra cervicale che gli provocò la paralisi totale. Ciononostante, continuò a vivere attivamente per quasi un quindicennio, partecipando anche ad altre avventure, e, comunque, vivendo con una vivacità intellettuale sorprendente.
Ovviamente non sempre le cose vanno così, e lo strazio di certe non vite balzano sovente agli onori della cronaca. Ma per terminare in positivo, cito una frase che lo stesso Fogar scrisse dopo il suo incidente, che è uno sprone a vivere sempre una vita pienamente attiva: “Certe persone muoiono a quarant’anni e vengono seppellite a ottanta”.
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