– Sono di una bellezza incomparabile i vestiti nuovi dell’imperatore! – … Nessuno voleva mostrare che non vedeva niente…
– Ma il re è nudo! – disse un bambino…
– Non ha proprio niente indosso! – urlò infine tutta la gente.
E l’imperatore si sentì rabbrividire perché era sicuro che avevano ragione (Hans Christian Andersen)
Dopo una lunga ed esemplare vita è morta la regina Elisabetta. Il mondo intero sta partecipando al luttuoso evento con un’attenzione che ha fatto passare in secondo piano tutto il resto
Elisabetta II ha regnato per più di settant’anni grazie ad un paio di eventi imprevedibili. Il primo fu l’abdicazione di suo zio, re Edoardo VIII, che lasciò il regno per amore dell’americana Wallis Simpson, divorziata, cosa che non era consentito all’epoca. Gli successe il fratello, re Giorgio VI.
Il secondo evento fu la breve durata del regno di quest’ultimo che portò a diventare regina sua figlia, proprio la giovane Elisabetta.
Qual è il problema? Semplice: nel terzo millennio si continua ad avallare un’istituzione totalmente anacronistica: la monarchia. Credo che tutti lo pensano ma nessuno dice che questa istituzione regale è nuda. Nessuno dice – come nella bella favola di Andersen – che i vestiti del privilegio aristocratico da sangue blu sono scomparsi sin da quel grandioso evento che è stata la Rivoluzione Francese.
Eppure non si vuole che sia così. E ci si rammarica che Elisabetta non sia vissuta ancora un paio di anni, sì da diventare la monarca che ha regnato di più nella Storia. Avrebbe scalzato Luigi XVI, il Re Sole, che regnò per oltre 72 anni, partendo però dall’età di cinque. Quel re è associato al punto più alto del dominio monarchico, il potere assoluto, perché volle tenere sotto controllo tutta l’aristocrazia trasferendosi assieme ad essa nella reggia di Versailles. Un mondo totalmente scomparso.
Mi chiedo quale sia il motivo profondo di questa ammirazione-venerazione collettiva per qualcosa che non dovrebbe esistere più. E la risposta probabilmente risiede nel fatto che vogliamo ostinatamente continuare a credere alle favole, e, quindi, in ultima analisi, ai sogni.
Ecco perché non posso che citare, in chiusura, le seguenti famose parole di William Shakespeare:
“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita.”