Le prime dichiarazioni del presidente della Regione Puglia e del sindaco di Bari infiammano il dibattito
Conversano – Mai si erano registrate due posizioni così contrapposte tra Michele Emiliano e Antonio Decaro, i due riferimenti del Pd in Puglia. Ha cominciato il presidente della regione con una serie di dichiarazioni indirizzate a giustificare il risultato del Pd pugliese: “Il Pd pugliese, che alle precedenti elezioni politiche del 2018 alla Camera, prese il 13,68%, oggi cresce di 3,14 punti percentuali – sottolinea – arrivando al 16,82%“. Il PD pugliese con il 16,82% registra il miglior risultato tra tutte le regioni del Sud Italia e questo vale anche per il risultato di coalizione del centro sinistra. Il fatto che sia comunque sotto la media nazionale è una costante di tutte le elezioni politiche (2008, 2013, 2018), con la differenza che in questa tornata elettorale il Pd in Puglia cresce del 3,14% rispetto alla precedente“. Una dichiarazione sembrata ai più come appartenente alla retorica di ogni “dopo voto” in cui sembra che tutti vincano, anche coloro che le prendono di santa ragione.
Questa volta il sindaco di Bari Antonio Decaro non ha fatto passare troppo tempo e, dopo pochi minuti, ha scritto un lungo post che non lascia dubbi interpretativi in cui fa un’analisi esattamente contraria a quella di Emiliano: “Abbiamo perso. Ha perso il Partito Democratico. Ha perso questa coalizione di centro sinistra. Ha perso l’idea di politica e di Paese che abbiamo proposto agli italiani. Abbiamo perso. E guai se l’analisi del voto, a qualsiasi livello, non partisse da queste due parole. Saremmo di fronte all’ennesimo stratagemma retorico per provare a giustificarci falsificando la realtà. Ha vinto, invece, l’idea di Paese del centrodestra. E quindi, come è giusto che sia in una democrazia, tocca a loro, adesso, governare. Il Partito Democratico perde tutte le elezioni politiche nazionali dal 2008. Mentre nelle elezioni locali, non solo riesce a vincere, ma, soprattutto, riesce a tessere una relazione solida, coerente e responsabile con i cittadini.
Sindaci e amministratori del PD governano il 70% dei Comuni italiani, e si dimostrano quotidianamente capaci di amministrare e di proporre un’idea politica seria. E le vittorie elettorali ne sono la conseguenza. Perché in quelle elezioni i cittadini hanno la possibilità di scegliere direttamente i propri rappresentanti e di chiedere loro conto, quotidianamente, di quello che promettono in campagna elettorale e di come lo realizzano una volta diventati amministratori.
Questo meccanismo virtuoso di fiducia e controllo, nelle elezioni per il Parlamento salta completamente. E ci ritroviamo deputati e senatori che non sanno nemmeno trovare sulla carta geografica i paesi nei quali vengono eletti. Solo perché fedelissimi ai leader di partito, o a qualche capo-corrente.
Contro questa stortura, che viola il principio base della democrazia rappresentativa, tradendo di fatto la volontà popolare, io da sindaco e da cittadino mi batterò con tutte le mie forze. Perché è uno dei sintomi più evidenti della malattia di una politica più propensa a preservare il potere dei dirigenti che a dialogare con i cittadini e a vincere le elezioni. Si torni alle preferenze e lo si faccia subito. Questa deve essere la prima battaglia che il Partito democratico deve intraprendere nei prossimi mesi. In queste ore sarebbe troppo facile sparare a zero sul segretario nazionale del Partito Democratico. E sarebbe inutile. È l’intero modello su cui il PD si fonda che va smantellato. Basta con i capi corrente che fanno e disfano le liste a propria immagine e somiglianza. Basta con questo esercizio del potere per il potere. Basta con l’autoconservazione come unico scopo della politica. O saremo capaci, finalmente, di azzerare questi meccanismi perversi e di ritornare a parlare alle persone, oppure la sconfitta perpetua alle elezioni politiche sarà il nostro ineluttabile destino.
In questo scenario, il risultato barese potrebbe oggi farmi pronunciare la classica frase da talk show del giorno dopo: “Il PD ha retto”. Ma voi mi conoscete. Non è questo il mio stile. Non è questa la mia idea di politica. Io, come sempre, quando vi incontro per strada voglio potervi guardare negli occhi. E potervi parlare in faccia. Con il rispetto, reciproco, che tra noi c’è sempre stato. E quindi non posso che riconoscere, anche qui a Bari, la nostra sconfitta. Per trarre da essa insegnamento, metabolizzarla e andare avanti.
Permettetemi, però, di ringraziare due persone, che in queste settimane hanno messo testa e cuore in questa avventura: la professoressa Luisa Torsi e Michele Abbaticchio. È stato per me un onore essere al loro fianco, fino all’ultimo giorno, pur consapevole che stavamo affrontando una sfida impossibile. Ma credo che gli elettori meritassero coerenza e lealtà. Fino in fondo.
Infine, i miei auguri più sinceri di buon lavoro al senatore Melchiorre, che è stato a lungo consigliere comunale di Bari e al deputato Bellomo. Spero possano rappresentare al meglio la nostra città in Parlamento. E auguri a tutti i parlamentari eletti in Puglia.
Sappiate onorare questa terra. Sappiate onorare ogni giorno i suoi cittadini che hanno riposto in voi la loro fiducia. È il bene più prezioso. Non traditela mai”.
In molti sperano che questa sia la volta buona affinché il Pd chiarisca finalmente la sua posizione uscendo dall’equivoco causato da un trasformismo evidente che ne ha minato alle fondamenta la sua funzione.
La nota di Decaro fa emergere un dato importante. Il sindaco di Bari parla di “deputati e senatori che non sanno nemmeno trovare sulla carta geografica i paesi nei quali vengono eletti. Solo perché fedelissimi ai leader di partito, o a qualche capo-corrente”. Le parole di Decaro, che in tanti attendevano da tempo, riusciranno a stappare definitivamente la cappa che comprime il dibattito pubblico nella sinistra e nella società pugliese?
Forse è l’inizio di un chiarimento vero e salutare in Puglia che continua a vivere nell’equivoco del perimetro politico nel quale si svolge l’azione di governo regionale. E che questa volta ha evidenziato la debolezza di una pratica politica che se porta all’acquisizione di personaggi della destra nella contesa regionale (in cambio di incarichi di prestigio) dall’altra parte porta questi stessi personaggi a tornare alla casa madre (la destra) o in altri schieramenti (Azione e Italia Viva) con tutti i consensi accumulati durante l’espletamento delle proprie funzioni. Il caso Cassano dell’Arpal ne è l’esempio più concreto.