“Quelli che pensano così, e io sono uno di questi, vedono bene che c’è una forza misteriosa più possente di noi e del nostro mondo che ci andiamo sempre di nuovo costruendo. Se si vuole la si può anche chiamare Dio ma vediamo chiaramente cos’è. È il caos da cui siamo nati, da cui tiriamo fuori il cosmo e che ci inghiottirà di nuovo”
(Altiero Spinelli)
La tragedia di Ischia non è stata dovuta alla fatalità che sempre connota lo scatenarsi di fenomeni meteorologici violenti. Oltre alla mano di madre natura, che è sempre imponderabile, c’è stata la mano ponderabile – e in questo caso miserabile – dell’uomo, che costruendo in modo indiscriminato e illegale là dove il terreno era a forte rischio idrogeologico, ha contribuito fortemente alla tragica sequela di perdite di vite umane.
Il lettore attento si starà di certo chiedendo cosa c’entri tutto questo con la frase iniziale, che il grande padre europeista Altiero Spinelli scrisse, in una lettera, alla figlia.
In realtà il collegamento ci sarebbe, perché il dramma dell’isola del Golfo di Napoli mi ha fatto riflettere sull’eterno binomio costruzione/distruzione. Tale binomio, è proiettabile all’intero mistero di questo nostro mondo, che dall’enigma della costruzione iniziale partita dal Big Bang sembra destinato all’enigma distruttivo del Big Crunch finale.
Spinelli fa questa profonda riflessione sul caos originale e sul vortice finale in modo mirabile, collegandolo all’eterno chiederci il perché del nostro esistere.
Chiudo con un ricordo personale. Quando visitai Bruxelles volli fare anche un salto ai palazzi della Comunità Europea. Era di sera e non vi era anima viva in giro. Ad un tratto vidi, all’interno di una delle imponenti costruzioni, il nome “Altiero Spinelli” in grande e bella mostra. Presi la macchina fotografica e scattai una foto dall’esterno all’interno. Immediatamente una guardia addetta alla sorveglianza, che era all’interno, mi redarguì in modo veemente. Capii che era vietato scattare foto per motivi di sicurezza. Costernato non potei fare altro che dire, in inglese: “Sorry, I am italian.” (“Chiedo scusa, sono italiano.”). La guardia accennò un sorriso e la cosa finì così. Come quest’articolo.