Il passaparola continua ad essere uno degli strumenti più efficaci per conoscere e far conoscere libri. E in taluni casi, laddove sconosciuti, anche i relativi autori.
Mi è capitato questi giorni addietro. Un mio caro amico mi ha fortemente consigliato di leggere “Jakob von Gunten” di Robert Walser. Non conoscevo il romanzo ed avevo in passato vagamente sentito qualcosa a proposito dell’autore.
Nel leggere il libro mi sono inizialmente smarrito. Infatti andavo alla ricerca di una trama e di una collocazione spazio-temporale. Cosa che pagina dopo pagina continuava ad essere assente. Finché ho capito che semplicemente tali coordinate non esistevano. Allora la lettura è diventata altra cosa. Sì, perché la storia mi ha ricordato le ambientazioni kafkiane de “Il processo” e “Il castello”, come anche “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, fino ad “Aspettando Godot” di Samuel Beckett.
Queste opere sono accomunate dalla straziante ricerca di un significato dell’esistenza, contro l’apparente assurdità della stessa. E se si vuole andare all’essenza delle cose, allora si deve mettere da parte sia il tempo che lo spazio, perché queste due cose non hanno nulla a che fare con l’idea di eternità.
In questo senso il riferimento della frase citata al sonno – mistero dei misteri – come momento in cui siamo più vicini a Dio, e quindi all’eterno, appare quasi una cosa logica. E che la logica finale si trovi negli scritti dell’assurdo è una conclusione non immaginata del sassolino odierno.