Il 2 giugno, Festa della Repubblica, si colora ogni anno di significati diversi, a seconda del sentire del tempo
Quando l’Italia cominciò ad essere attaccata dai dissennati propositi secessionisti della Lega Nord, un grande presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che era stato presenza attiva durante il periodo della Resistenza, ritenne opportuno avviare una campagna di sensibilizzazione verso i valori fondanti della nostra nazione. E lo fece con azioni concrete e coinvolgenti, come quelli di sospingere tutti a cantare l’inno nazionale nonché considerare la bandiera italiana come un simbolo unificante.
Il suo sforzo non fu vano, perché oggi, le spinte centrifughe e secessioniste si sono quasi del tutto affievolite.
È vero anche che il concetto di nazione o di patria muta al mutare delle sensibilità politiche, e si può correre il rischio opposto, ossia quello di chiudersi verso l’esterno e di considerare lo straniero, etimologicamente, come persona “strana” o estranea.
Ecco perché, per paradosso, mi sono tornate a galla, dai recessi della memoria, i versi di una canzone che cantavo in chiesa, alla messa dei giovani, dopo la rivoluzione del Sessantotto.
Si nota il forte impatto sociale e rivoluzionario, figlio di quei tempi.
Sarebbe bello se un giorno scomparissero i confini, visti come barriere di diffidenza, capaci di generare ostilità più che proteggere dall’invasore.
Si abbatterebbero molti muri e si costruirebbero molti più ponti. Allora sì che avrebbe senso parlare di Villaggio Globale.