È noto il potere che hanno le parole di riuscire talvolta a incidere in modo indelebile nella memoria. Qui vorrei riportare due esempi personali, che in qualche modo coinvolgono la città di Conversano.
Il primo risale a poco meno di sessant’anni fa. Ero alle elementari, presso l’Istituto delle suore d’Ivrea di Mola. Un giorno scendemmo tutti nel salone, con annessa cappella. Era venuto un giovane sacerdote a celebrar messa.
Durante l’omelia disse la seguente frase: “In una notte nera, sotto una pietra nera, c’è una formica nera: Dio la vede.”. Tali parole mi sono rimaste per sempre impresse, anche se dovevo avere 6-7 anni.
Quel sacerdote abitava di fronte a casa mia e lo vedevo uscire di casa su una Vespa bianca su cui risaltava in modo netto la sua lunga e svolazzante tonaca nera. Il prete era Domenico Padovano, divenuto poi per tanti anni vescovo di Conversano.
Per il secondo episodio bisogna fare un salto temporale in avanti di una decina di anni, quindi mezzo secolo fa. Frequentavo i primi anni del liceo scientifico “Sante Simone”. Il mio professore di religione era il vulcanico arciprete di Turi, don Vitantonio Pugliese. Veniva a scuola con la sua scintillante Mercedes. Una volta profferì in classe la frase di Lavoisier – senza citarlo – che ho su riportato, che è alla base della chimica moderna.
Mi è tornata in mente durante la lettura di un libro di divulgazione scientifica, che sto leggendo in questi giorni, in cui si ricorda che oggi la scienza ritiene che “l’Universo abbia avuto origine 13,8 miliardi di anni fa, quando l’intera energia, la massa, lo spazio e persino il tempo si espansero da un unico punto.” Come un coniglio che viene fuori da un cilindro vuoto.
In effetti, ho pensato, il postulato di Lavoisier è messo in crisi dall’origine dell’Universo, in quanto rimane un mistero quello della sua creazione. Come è e sarà, a mio avviso, un mistero la sua eventuale fine e distruzione.
Allora, per uscire dalla morsa creazione-distruzione, che la attanaglia dalla notte dei tempi, all’umanità tutta non resta che continuare il suo incessante processo di trasformazione. Speriamo all’infinito.