“Forza-lavoro”. Così si chiamavano gli operai…” (Amedea Pennacchi)

“Forza-lavoro”. Così si chiamavano gli operai: avrebbero dovuto avere una faccia e un cognome, ma per i consulenti non erano altro che forza-lavoro (Amedea Pennacchi)

Ultimamente ho letto il libro “Molotov e bigodini”, opera prima di Amedea Pennacchi, che percorre gli anni successivi al Sessantotto dal punto di vista di una donna militante nell’area dell’estrema sinistra. Il romanzo in realtà non mi ha particolarmente colpito se non per il titolo e per questa frase, che è meritevole di un’analisi più approfondita.

Nei miei primi anni lavorativi ero dipendente di una consociata Olivetti e lavoravo nel campo della produzione del software. Ricordo che da subito, allorquando interloquivo con i miei superiori, ero infastidito dal fatto che, quando si trattava di nuovi progetti, le persone coinvolte venivano chiamate “risorse”.

Il fastidio che provavo derivava dal fatto che in questo modo quelle persone perdevano la loro identità, il loro volto e il loro nome, e venivano equiparate a delle macchine, se non a delle materie prime.

È incredibile la similarità di riflessione con la frase citata. Il problema di rendere anonima la persona che lavora utilizzando altri termini, come forza-lavoro o risorsa (e non parlo di trattati economici o socio-politici), espone al rischio di sfruttamento se non di maltrattamento della persona medesima.

L’agghiacciante episodio del bracciante lasciato morire dopo che gli è stato tranciato un braccio sul lavoro è la punta estrema di tale processo, che sembra non conoscere tregua anche di fronte alle nuove forme di lavoro. 

Ciò che è accaduto nei call-center, ciò che accade con le nuove forme di commercio online e le consegne a domicilio dei rider, sono esempi contemporanei in cui è altissimo il rischio della “spersonificazione” (mi si consenta il neologismo) del lavoratore o della lavoratrice.

In conclusione, ricordando che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, dobbiamo far sì che esso sia fatto dando sempre dignità alla persona che lo svolge.

Solo in questo modo avrà senso la famosa frase che dice che il lavoro nobilita l’uomo.

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