“Il tempo di viaggio da un luogo all’altro è considerato da alcuni cosa noiosa”. E per le nicchie i cammini come Santiago

C’è un popolo silenzioso, ronzante, sudato, che girovaga per strade secondarie di tutto il mondo. Un po’ altezzoso, nella sua umiltà da viaggiatore a basso impatto ambientale e alto valore culturale aggiunto, questo popolo si muove seguendo itinerari da pellegrini. Il ritmo dell’andare è ancora scandito da salite, temporali, venti contrari e punti di possibile rifornimento. L’equipaggiamento è leggero, al minimo, tutto quello che può stare sul portapacchi posteriore, nelle borse laterali e poco altro. E’ il popolo dei cicloviaggiatori. (Articolo “Ciclonomadi” sulla rivista “Carta”)

Giorni fa una mia amica, di ritorno da un viaggio, ha scritto sui social un post in cui, pur amando sempre più viaggiare, lamentava la sua insofferenza verso il treno. Questo mi ha fatto venire in mente il commento stupito di un mio giovane nipote allorquando, anni fa, gli dissi di essere andato a Salisburgo in auto con un viaggio che era durato circa tredici ore. Mi diede più o meno scherzosamente del matto.

Insomma, oggigiorno, il trasferirsi da un luogo all’altro viene considerata una cosa noiosa, da sopportare, ma di cui si farebbe volentieri a meno. Ecco perché l’aereo è diventato il mezzo di trasporto d’eccellenza, per viaggi e non, mentre proliferano le linee di alta velocità dei treni. Se poi ci limitiamo al piccolo cabotaggio, il boom delle biciclette e dei monopattini elettrici è sotto gli occhi di tutti.

Eppure la storia plurimillenaria dell’umanità ci dice che questo fenomeno è apparso solo attorno a un secolo e mezzo fa, dopo l’invenzione del motore a scoppio. Prima di allora l’uomo si trasferiva via terra a piedi o a cavallo, mentre via mare c’erano le barche a remi o a vela.

A quei tempi il viaggio di trasferimento aveva un significato per se stesso molto rilevante, e permetteva di conoscere il paesaggio e di entrare in contatto in modo non superficiale con la gente del posto. Marco Polo è forse l’esempio più eclatante di questo modo di viaggiare, e il suo libro “Il Milione” ne è resoconto mirabile.

Per fortuna, accanto a questa tendenza tutta psicologica odierna di subire il trasferimento, vi sono delle nicchie peripatetiche – mi si consenta l’azzardo semantico – in cui vi è un sano ritorno al passato. I cammini, quello di Santiago in primis, ne sono esempio.

Ma per tornare alla frase di partenza, anche la bicicletta, pur essendo a sua volta nata abbastanza in parallelo con l’epoca del motore a scoppio, ha permesso e permette di tornare a considerare l’andare come un valore aggiunto del viaggiare.

Per questo motivo, per chiudere con un gioco di parole, non posso non pensare che con i pedali si dia ai piedi le ali.

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