La realtà è che il tennis – sentenziò con straordinaria enfasi – oltre che uno sport è anche un’arte, e siccome ogni forma d’arte esige un certo talento particolare, chi ne risulti privo rimarrà sempre una scarpa, vita natural durante. (Giorgio Bassani, “Il giardino dei Finzi-Contini”)
Dopo un’estate di caldo opprimente mi si consenta un sassolino leggero. Leggero come una pallina da tennis. L’Italia sportiva si sta esaltando per le ultime imprese dei tennisti nostrani. Si prevede un boom nella popolarità di questo sport che porterà tante persone a imparare questo gioco.
Io stesso ne fui attratto perché un fenomeno analogo avvenne nel 1976. In quell’anno frequentavo il quarto liceo scientifico al “Sante Simone” e in Italia ci furono delle imprese tennistiche che portarono a fine anno alla conquista della Coppa Davis. Imparai a giocare a tennis proprio a seguito di quelle imprese.
Immagino che anche la frase di Bassani l’abbia letta da qualche parte proprio perché rivangata a seguito della nuova attenzione verso il tennis.
In realtà non è un dialogo totalmente educativo, perché, pur esaltando le qualità artistiche e creative di questo sport, finisce con il dileggiare chi è sprovvisto di talento, mettendolo letteralmente sotto i piedi.
Ritengo invece che chiunque faccia sport abbia pari dignità a prescindere dai risultati, e bene ha fatto il presidente della Repubblica Mattarella ad invitare al Quirinale non solo gli olimpionici medagliati, ma anche chi è arrivato al quarto posto, con un messaggio chiaro verso chi non vuole considerare se non i trofei acquisiti.
Ma anche se una persona è dotata di talento, quest’ultimo non basta, ma deve essere supportato da duro lavoro e applicazione. In questo senso, l’esempio dell’attuale numero uno al mondo Jannik Sinner – che lavora tantissimo e con zelo – è significativo. Perché nessuno nasce al mondo con la racchetta magica.