Con la pubblicazione del trattato “Dei delitti e delle pene”, il giurista milanese del Settecento Cesare Beccaria pose le basi al moderno diritto penale, avversando comportamenti fino ad allora considerati leciti come la tortura e la pena di morte.
A seguito di ciò l’Italia e l’Europa fecero un gran passo in avanti verso la umanizzazione del sistema penale, ponendo appunto l’uomo al centro di tutto.
Nella frase riportata, questo rivoluzionario cambio di prospettiva viene indissolubilmente legato al concetto di libertà. Vi è libertà quando non consideriamo gli esseri umani come cose ma come persone.
Può sembrare strano, ma questo principio deve costantemente essere verificato nei luoghi e nei fatti. Anche oggi.
Purtroppo nel mondo la pena di morte è ancora colpevolmente presente in troppi Stati, ed anche la tortura viene praticata non soltanto in situazioni di guerra, peraltro comunque non tollerabili. Persino in Italia, per fare l’esempio più eclatante, quello che è capitato al povero Stefano Cucchi è stato un caso abietto di tortura compiuto là dove i diritti umani dovrebbero essere garantiti, ovvero tra le forze dell’ordine.
Ma la stretta relazione tra libertà e persona deve essere verificata anche in altri contesti. Nello sfruttamento del lavoro – e penso alle nuove mansioni, dai rider ai call center e ai grandi mercati online -, nel traffico dei migranti, e in tutte quelle situazioni in cui trattiamo le persone dimenticando che hanno un nome, una dignità e una storia.
La libertà non solo va conquistata, ma molte volte va preservata e persino riconquistata.