Su diciotto invitati hanno risposto in cinque. Quattro declinando l’invito, uno accettandolo e presentandosi alla festa. E’ ciò che è successo ad una famiglia modenese con un bimbo affetto da autismo nel giorno del suo quarto compleanno. La retorica vorrebbe che ci si indignasse e si gridasse all’insensibilità di tanti di quei genitori che ormai hanno mollato la concezione della scuola come luogo dell’integrazione perfetta tra storie, culture e costumi. Ma la retorica deve lasciare spazio all’indignazione per due ordini di motivi: il primo legato al cinismo di chi non si è presentato alla festa (con ovvio riferimento ai genitori che non hanno accompagnato i propri figli); il secondo ad un atto evidentemente discriminatorio perché non è possibile pensare che tutti gli invitati insieme avessero “da fare”.
E quella che è andata in scena è la perfetta rappresentazione dello stato d’animo e del pensiero debole dei nostri giorni. La diversità diventa escludente, discriminante, respingente. Capace anche di umiliare e, soprattutto, di non farsene carico per definizione. Sono lontani i tempi, se pur così vicini, del motto così inflazionato “I care”, me ne faccio carico, mi metto in gioco, mi reco verso l’altro per capire e conviverci perché la sua vita è anche un pò la mia. Non so cosa mai possa essere contemplato nei trattati di pedagogia e sociologia. Ma è evidente che c’è un problema di convivenza che riguarda a volte anche il fastidio che molti genitori provano nel vedere i propri figli frequentare classi con alunni disabili. Un fastidio che si palesa con mille motivazioni. Tra chi non ne parla esplicitamente se non con il dirigente della propria scuola e chi, invece, lo dimostra così come ha fatto la stragrande maggioranza dei genitori con il bimbo di Modena.
Un vero e proprio atto discriminatorio che ci induce a fare brevi considerazioni su quello che continua ad essere concepito come diverso. Qual è il coraggio che ogni genitore manifesta attraverso l’educazione dei propri figli? Cosa hanno dovuto inventarsi quei genitori modenesi per dire ai propri piccoli che alla festa no, non si può andare?
Dall’album dei ricordi e dalla cassetta degli attrezzi degli insegnamenti ricevuti, metto fuori esperienze illuminanti. Di genitori, non solo i miei, che mi e ci vedevano frequentare non solo a scuola ma anche d’estate, durante le vacanze, nostri coetanei con disabilità motorie o psichiche. E ci spronavano a farlo e a fare attenzione affinché quelle amicizie avessero il sigillo dell’autenticità e non del pietismo.
Erano così lungimiranti e illuminati i nostri genitori? Forse nulla di tutto ciò. Erano invece coraggiosi e capaci di guardare lontano conservando anche un pizzico di egoismo. Quello di vedere i propri figli capaci di affrontare ciò che, per i più, erano problemi. Un egoismo diverso che ha reso e renderebbe liberi da ogni chiesa mentale ognuno di noi e ognuno di quei bambini di Modena che, si spera, non ricorderanno mai nulla del quarto compleanno di Marco, lo chiameremo così. Perché se dovessero ricordarsene nel tempo, potrebbero vergognarsi di aver avuto guide in famiglia così inadeguate.
A Marco auguri perché ci saranno compleanni migliori, ai suoi genitori un ringraziamento per averne liberamente parlato.
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