È la seconda Quaresima che passiamo in una quarantena dell’anima che persiste e ci opprime.
Vorremmo uscirne ma il tempo del dolore e della cattività forzata non è ancora compiuto.
In questo scenario pre-pasquale le parole di Cesare Pavese, che pur si riferiscono ad una passione amorosa, assurgono ad un significato più ampio. Quello del dolore di tanti – nel mondo intero – che si sentono impossibilitati a ritrovare le cose più ordinarie e tremendamente necessarie, gli affetti, il lavoro, la socialità, il semplice uscire di casa in libertà, e che vedono tutti questi chiodi formare una passione di sofferenza che stride di fronte all’erompere della primavera.
Ma per fortuna la Pasqua è alle porte, con il suo potente messaggio di resurrezione, che adesso si colora anche di significati altri. La campagna di vaccinazione, pur nel calvario di tante cadute e rallentamenti, fa intravedere la parola fine.
E nel formulare a tutte le lettrici e a tutti i lettori un sincero augurio di Buona Pasqua, torno a Cesare Pavese, che nel tradurre il “Moby Dick” di Hermann Melville, ci ha donato da quel capolavoro questa bella e speranzosa riflessione:
“Nel tempestoso Atlantico del mio essere, io sempre godo di una muta calma nell’intimo e, mentre pesanti pianeti di dolore incessante mi ruotano intorno, laggiù, in fondo, continuo a bagnarmi in un’eterna soavità di gioia.”