Considero “Moby Dick”, il capolavoro di Hermann Melville, un libro-universo. Appartiene infatti a quei pochi romanzi in cui, pur essendoci una storia specifica, l’autore riesce a parlare di tutto, in modo mai banale. Melville girò il mondo sulle baleniere, ed era un avido lettore, per cui riuscì a riversare questa doppia esperienza totalizzante – apprendere le cose del mondo dai luoghi, gli uomini, il loro incontro, le loro storie, nonché dalle loro opere – nel suo romanzo più noto.
Il sonno è una delle nostre esperienze più comuni. Vi dedichiamo circa un terzo della nostra vita. Eppure è uno dei più grandi misteri del vivere oltre che essere lo scrigno del gioiello più imperscrutabile: il sogno. Riflettere sul sonno, dunque, significa riflettere sulla nostra esistenza.
Il sonno viene ripreso tante volte in letteratura e nelle arti, anche in senso figurato. E devo confessare che in realtà, nella puntata odierna del Sassolino, ho pensato al sonno proprio in questa forma, nella sua accezione meno positiva. Quella che per esempio ha dato il titolo ad una delle prime e più famose storie hardboiled, “Il grande sonno”, di Raymond Chandler, in cui si parla del degrado della società statunitense negli anni Trenta del secolo scorso, in cui ci rispecchiamo anche oggi.
La frase che mi è venuta in mente, con cui concludo, è il titolo di una famosa acquaforte realizzata dal pittore Francisco Goya alla fine del Settecento e che è stata tristemente ripresa in un’opera con lo stesso titolo da Renato Guttuso, a memoria della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Questa frase mi è venuta in mente oggi, pensando alle tragiche vicende di questi giorni, legate alla martoriata terra di Palestina:
“Il sonno della ragione genera mostri”.