Iqbal Masih era bambino-operaio pakistano. Cominciò a lavorare che aveva quattro anni. Il suo turno giornaliero durava 10-12 ore. Era poco più che decenne quando cominciò a denunciare lo sfruttamento minorile. Era indomito, molto più grande della sua età e con le idee molto chiare su cosa fossero le ingiustizie contro cui battersi.
La sua battaglia ebbe un’eco internazionale. A undici anni fu invitato a Stoccolma per denunciare le condizioni di lavoro nella produzione dei tappeti in Pakistan. Fu assassinato il 15 aprile 1995. Aveva solo dodici anni.
Non è stato fortunato come Malala Yousafzai, sua connazionale, sfuggita ad un terribile attentato, e fiera combattente dei diritto all’istruzione delle donne.
Mi sono venuti in mente questi bambini-eroi perché è proprio di questi giorni la notizia della morte della pallavolista afghana Mahjubin Hakim, che sarebbe stata decapitata dai talebani. Lei voleva semplicemente vivere in modo normale. Studiare, crescere e fare sport. Non ce l’ha fatta.
Lo sfruttamento, la segregazione, la violenza e tutte quelle brutture che violano l’infanzia sono cose che non si vorrebbero più sentire, ma che esistono ancora. La comunità internazionale non può voltarsi dall’altra parte. Non si può far finta di niente. Sono ancora migliaia e migliaia i sorrisi delle fate spenti per sempre.