“Ci affidiamo al Corano, che insegna la tolleranza e perciò non abbiamo niente in comune con gli integralisti dell’Arabia Saudita, dell’Iran, del Pakistan, eccetera… Non siamo né xenofobi né razzisti. Cristiani, buddisti, ebrei, indù sono nostri fratelli” (Ettore Mo, intervista ad un mauritano)
È da poco scomparso Ettore Mo, uno dei più notevoli reporter della storia del giornalismo, italiano e mondiale. Aveva 91 anni. Ha girato il mondo in lungo e in largo, andando nelle zone più pericolose, ove infuriavano guerre. La sua vita è stata messa a rischio più di una volta e ne è sempre venuto fuori, in certi casi in modo avventuroso. E i suoi reportage sono pagine di grande giornalismo.
Il suo motto era molto semplice: bisogna andare sul posto e rendersi conto delle cose. Perché solo la conoscenza diretta può consentire di comprendere realtà complesse.
La frase riportata, relativa ad un suo viaggio in Mauritania, credo sia molto significativa riguardo ad un errore che sovente si compie quando si ha a che fare con mondi e civiltà diverse dalla nostra: la semplificazione.
Nel caso particolare, quando si parla di Islam, sia a livello religioso, sia considerando le aree territoriali in cui è diffuso, tendiamo a ridurre la nostra analisi a pochi concetti stereotipati, tipici di una conoscenza superficiale.
In realtà le cose non stanno così, e accanto a realtà integraliste che danno interpretazioni del Corano fuorvianti e intrise di odio e di sopraffazione, ve ne sono altre che invece predicano la tolleranza e la fratellanza.
Forse bisognerebbe parlare un po’ più spesso di questo, perché le basi su cui fondare la pace tra i popoli non sono i muri della separazione ma i ponti dell’incontro.