“E va bene, forse alla fine non è così complicato: a un certo punto ho capito che l’essere umano appartiene solo a se stesso. Non a un dio, non a una Chiesa e nemmeno a uno Stato: solo a se stesso. E’ questa la sua libertà. E’ fragile, questa libertà, è sensibile e vulnerabile. Solo il diritto può proteggerla”. Ferdinand von Schirach, Tabù, Longanesi 2014.
“Guai anche a voi dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito”. Vangelo di Luca, 11,46.
di Vito Fanizzi (magistrato Corte d’Appello di Bari)
Nel salotto di una elegante casa di Amsterdam, alcune persone chiacchierano tranquillamente attorno ad un un tavolo, apparecchiato per un caffè. Uno di loro ha un sorriso assente, come se il suo pensiero fosse rivolto altrove. E’ un uomo di 79 anni, Siep Pietersman, affetto da demenza iniziale, e ha deciso di morire. Sua moglie ha uno sguardo perplesso. Ci sono i medici e gli infermieri della clinica di fine vita alla quale Siep si è rivolto: per il medico di famiglia era troppo presto per l’eutanasia, ma la legge olandese consente di impugnare tali decisioni davanti a strutture di appello regionali. Intorno al tavolo ci sono anche la figlia ed il nipotino di Siep, che dedica loro l’ultima carezza. E’ arrivato il momento. Gli infermieri adagiano Siep sul divano, come si mette a dormire un bambino, e gli iniettano la sostanza che lo porta alla morte.
In Olanda si muore anche così, prendendo un caffè. E con il tempo aumentano le persone che scelgono l’eutanasia perché affette da patologie psichiatriche o da forme di demenza. Leggendo questo reportage dall’Olanda, sulle pagine di un settimanale, ho finalmente capito del tutto la sentenza pronunciata dalla Corte Costituzionale il 24 settembre 2019. Fabiano Antoniani, il dee jay milanese completamente paralizzato dopo un incidente, era stato trasportato in Svizzera da Marco Cappato, nel febbraio del 2017, per consentirgli di praticare il suicidio assistito, una pratica vietata in Italia. Marco Cappato era stato imputato del reato previsto dall’art. 580 del c.p., l’aiuto o l’istigazione al suicidio, e il Tribunale di Milano, che lo giudicava, aveva rinviato gli atti alla Corte Costituzionale perché valutasse la legittimità della norma. Con la sentenza citata la Corte Costituzionale dichiarò la parziale illegittimità dell’art. 580 del c.p., che puniva ogni ipotesi di aiuto al suicidio: oggi, in Italia, non c’è il reato se l’aiuto è prestato in favore di una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche assolutamente intollerabili, tenuta in vita con trattamenti di sostegno vitale, capace di prendere decisioni consapevoli. In quella sentenza, che evitò a Marco Cappato la condanna e che ad alcuni commentatori parve troppo timida e ritagliata sul caso concreto, i giudici della Corte Costituzionale non pensavano solo a Fabiano Antoniani ma anche, e forse di più, alle persone come Siep, povere creature in bilico alle quali basterebbe una mano amorevole per restare al di qua di una vita comunque dignitosa.
La Corte Costituzionale, espressione delle varie anime del Paese, in una questione tremendamente complicata, sembrava aver trovato una sintesi accettabile per tutti, ritagliando una causa di non punibilità ed esprimendo, in modo quasi accorato, l’auspicio di una disciplina legislativa della materia, che finalmente delineasse i contorni del diritto a morire in modo dignitoso, secondo i principi enunciati. E’ necessario disciplinare le modalità di accesso al servizio e di coinvolgimento del servizio sanitario nazionale, stabilire tempi ragionevoli di attesa per l’interessato. E’ necessario disciplinare l’obiezione di coscienza, alla quale pure la sentenza riconosce dignità, stabilire chi debba sopportare i costi. E’ necessario, incidendo questa volta sull’art. 579 del codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente, andare incontro alle persone che si trovano nelle condizioni citate ma non hanno, a differenza di Fabiano Antoniani, neppure la capacità di azionare il meccanismo che porta alla morte (Fabiano soffiò all’interno di un tubo). Ma in Italia è difficile attraversare anche questo piccolo spiraglio. Il Parlamento, a distanza di ormai cinque anni dalla sentenza, non è capace neppure di avviare il cammino. In questo vuoto normativo, si può confidare in qualche giudice coraggioso, che applica tout court il nuovo assetto normativo: è accaduto lo scorso 28 novembre, a Trieste, a una donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla. Ci stanno provando alcune Regioni, anche loro probabilmente forzando i principi giuridici in materia. Il Consiglio regionale del Veneto ha bocciato la legge promossa dal Governatore Zaia. Analoga sorte ha avuto, in Emilia Romagna, l’iniziativa presa dal Governatore Bonaccini.
L’affermazione che la vita è un dono di Dio, che solo Dio può togliere, ispira gli uomini politici che affossano ogni tentativo di regolamentazione, a livello nazionale e a livello regionale. A Piergiorgio Welby, morto il 20 dicembre del 2006 dopo aver chiesto di staccare la spina del respiratore che lo teneva in vita, furono negati i funerali religiosi (nella stessa chiesa di Don Bosco a Roma, il 20 agosto del 2015, furono celebrate solennemente le esequie di Vittorio Casamonica, pregiudicato di stretta osservanza cattolica). Il Cardinale Camillo Ruini spiegò così la decisione, in un convegno del 4 settembre del 2007: la Chiesa cattolica “tende” a concedere i funerali ai suicidi, perché ammette che in quel momento drammatico “non ci sia il deliberato consenso della persona”; nel caso di Welby, “lui aveva più volte manifestato il desiderio di morire e concedere il funerale sarebbe stato come dire che il suicidio è ammesso”.
Quanto è complicata e crudele la dottrina della Chiesa al cospetto delle parole di Gesù.
Gli ultimi ad andarsene in Olanda, con la pratica dell’eutanasia, sono stati l’ex primo ministro Dries van Agt e sua moglie Eugenie, lo scorso 5 febbraio. Avevano entrambi 93 anni e sono morti tenendosi mano nella mano, come avevano fatto per 70 anni della loro vita.